
Alla domanda di padre François Menyeng e alla prima risposta della professoressa Simona Segoloni Ruta reagisce Roberto Massaro, professore straordinario di teologia morale presso la Facoltà Teologica Pugliese e invitato presso il Pontificio Istituto Accademia Alfonsiana di Roma.
Il professor Massaro, oltre ai suoi impegni accademici e alla cura del blog Promundivita.it, dirige la rivista Apulia Theologica e la collana Theologica e collabora come esperto presso l’Ufficio nazionale di pastorale della famiglia della Conferenza Episcopale Italiana e la redazione di Credere Oggi.
Tra le sue pubblicazioni ricordiamo le più recenti: Si può vivere senza eros? La dimensione erotica dell’agire cristiano (EMP 2021) e Per una vita degna. Riflessioni a margine della dichiarazione Dignitas infinita (con Gaia De Vecchi; EMP 2024).

Dieci ragazze per me… così abbiamo titolato, in modo provocatorio, il post che ha inaugurato, durante questo mese di febbraio, la riflessione del nostro blog sul tema della poligamia. Sollecitati dalla domanda di padre François Menyeng e sostenuti dalla lucida riflessione di Simona Segoloni, siamo stati aiutati a leggere la questione con le lenti del rispetto della dignità della donna, piuttosto che ponendoci la sterile e dualistica domanda “sacramenti sì o sacramenti no?”.
Personalmente, ritengo che la poligamia rientri tra quelle questioni etiche che oserei definire “contestuali”, di cui cioè è difficile parlare al di fuori dell’ambiente in cui tale tradizione si è sviluppata e consolidata. Con i dovuti distinguo – la poligamia, come ha fatto già notare la professoressa Segoloni, pone domande che vanno al di là della semplice non conformità alla dottrina dell’unicità del matrimonio, ma coinvolgono un discorso più ampio sulla dignità della donna e la parità di genere – l’argomento sottende domande comuni ad altre prassi o storie di vita diffuse in Occidente – il riconoscimento delle coppie omoaffettive o delle coppie eterosessuali che convivono o vivono in seconde nozze – o in Oriente – le spose bambine…
Ribadendo e sottolineando che questi temi sono differenti e meriterebbero una trattazione diversa a motivo delle questioni morali a esse sottese, resta un aspetto comune: in che modo la chiesa può accompagnare nel discernimento e integrare al suo interno situazioni che non rispecchiano pienamente l’attuale visione del matrimonio? Può continuare ad affrontare certi temi in modo “centralizzato”, esprimendo opinioni e indicando prassi valide in tutto l’orbe cattolico?
Due fatti recenti sembrano farci propendere per una strada differente da quella praticata finora. Il 18 dicembre 2023 il Dicastero per la Dottrina della Fede pubblicava la dichiarazione Fiducia supplicans sul senso pastorale delle benedizioni, aprendo alla possibilità di benedire – in alcuni casi e a precise condizioni – anche coppie omoaffettive. Se, in molti paesi dell’Europa e delle Americhe, tale pronunciamento ha suscitato gioia, speranza ed entusiasmo in molti gruppi di cristiani (LGBT e non), nemmeno un mese dopo, l’11 gennaio 2024, il Simposio delle conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam) prendeva nettamente le distanze dal documento dell’ex Sant’Uffizio con una lettera in cui, pur ribadendo la comunione con il papa, si diceva preoccupato per «la confusione e l’inquietudine» suscitata da Fiducia supplicans nell’animo di tanti fedeli laici.
Ancora: il 2 aprile 2024 lo stesso dicastero diffondeva la dichiarazione Dignitas infinita, nella quale, al n. 45 – come segnalato da padre Menyeng nella sua domanda –, la poligamia era definita come «contraria alla pari dignità delle donne e degli uomini e contraria all’amore coniugale che è unico ed esclusivo». Di contro, sempre a firma del già citato Secam, è in arrivo, a luglio 2025, un documento che presenterà il lavoro di una commissione – che raccoglie membri di 37 conferenze episcopali africane – a lungo impegnata per individuare strade concrete per l’accompagnamento pastorale delle persone in relazioni poligamiche.
Scontro di civiltà? Scontro di culture? Divergenze insanabili all’interno della stessa chiesa cattolica? Pericolo di scisma? Nulla di tutto ciò! Queste contrapposizioni non fanno altro che manifestare l’indole contestuale della riflessione teologico-morale la quale, pur nutrendosi, in ogni parte del mondo, alla stessa fonte della Rivelazione, è chiamata ad affrontare urgenze differenti o a trovare soluzioni a problemi che sono materialmente uguali, ma formalmente diversi a motivo della cultura, delle tradizioni, delle credenze del singolo popolo.
Si tratta di ribadire una felice intuizione contenuta nelle prime pagine dell’esortazione apostolica Amoris laetitia, secondo cui «non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero. Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano. Questo succederà fino a quando lo Spirito ci farà giungere alla verità completa (cfr Gv 16,13), cioè quando ci introdurrà perfettamente nel mistero di Cristo e potremo vedere tutto con il suo sguardo. Inoltre, in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali. Infatti, “le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale […] ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato”» (AL 3).
Proprio la prassi sinodale che si va via via rafforzando durante il pontificato di Francesco forse potrebbe (o dovrebbe) condurre a una modalità nuova di affrontare le questioni morali. Ben consapevoli dell’esistenza di una «gerarchia delle verità» (UR 11) anche a livello morale, il magistero e i documenti della curia romana potrebbero limitarsi a offrire degli orientamenti generali che poi spetterebbe alle conferenze episcopali (continentali o nazionali) tradurre in pratica, tenendo conto del contesto socioculturale delle diverse nazioni.
È chiaro. Il pensiero tratteggiato qui in poche battute può sembrare poco fondato e poco esaustivo. Potrebbe anche dare adito a pensare che si voglia offrire una proposta morale “situazionista”. Al contrario, si tratta di cogliere la complessità del reale; comprendere che «il tempo è superiore allo spazio» (EG 222) e che la sfida attuale della comunità cristiana non è quella di innalzare muri, ma di «costruire ponti, stringere le relazioni e aiutarci “a portare i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2)» (EG 67).
Lascia un commento