Una diplomazia che porge il Vangelo: un contributo etico oltre alle logiche di Stato?

Un nuovo approfondimento tematico sul nostro blog. Questa volta il tema di stringente attualità e riguarda il ruolo e il contributo etico della diplomazia della Santa Sede nei conflitti, soprattutto nel confronto con le diplomazie degli altri stati. Ci può essere una differenza sul piano etico? In che modo?

Emanuele Preite, 24 anni, è uno studente al quarto anno del ciclo istituzionale in teologia presso l’Istituto teologico Regina Apuliae di Molfetta. Originario di Ugento, ha conseguito la laurea triennale in filosofia moderna presso l’Università del Salento. Ora prosegue il discernimento presso il Seminario regionale per la sua Diocesi, Ugento-Santa Maria di Leuca. 
La domanda posta da Emanuele è frutto di una personale ricerca sul tema del ruolo della diplomazia vaticana nei conflitti mondiali. 

Nello scenario geopolitico contemporaneo, l’agire diplomatico degli stati è sovente dettato da interessi di sicurezza, economici o comunque strategici, rispondendo a logiche di gestione del potere legate alla salvaguardia della sovranità degli stati. In questo contesto, si situa anche l’azione diplomatica della Santa Sede, la quale -però- si distingue da tale agire in virtù del suo impianto etico fondato su una visione antropologica e storica fondata sul Vangelo. Come afferma il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, “la promozione della pace nel mondo è parte integrante della missione con cui la Chiesa continua l’opera redentrice di Cristo sulla terra” (n. 516).

L’azione diplomatica della Santa Sede gode di luminosa autorevolezza: trae nutrimento dai valori evangelici che la informano e ne rendono l’agire virtuoso. Essa, non avendo interessi territoriali o economici da difendere, può esercitare una neutralità morale unica, che la rende un attore credibile e accettato anche nei contesti più delicati. Il Compendioricorda che “una vera pace è resa possibile soltanto dal perdono e dalla riconciliazione” (n. 517), ma questo non elude l’esigenza di verità e giustizia, né esclude il ricorso a strumenti giuridici internazionali. Tuttavia, il contributo della Chiesa si estende ben oltre: essa promuove una visione della pace come “diritto” (n. 518), superando la logica dei rapporti di forza e indicando un paradigma fondato sul bene comune, sulla cooperazione tra i popoli e sul riconoscimento della dignità inalienabile di ogni persona.

La nozione di pace, in tale prospettiva, eccede l’assenza di conflitti: la sua scaturigine è nell’evento pasquale e si manifesta nella giustizia, nel perdono e nella riconciliazione, riflettendo una visione dell’umanità redenta e riconciliata in Cristo.

In questo senso, Paolo VI, nell’esortazione Sollicitudo omnium Ecclesiarum, pur ribadendo la distinzione tra Chiesa e Stato, afferma che gli stessi operano “a beneficio di un soggetto comune, l’uomo”, e auspica un “dialogo aperto e sincero” tra le due realtà, affinché possano concorrere, secondo la propria natura, al servizio dell’umanità e della pace. La presenza della Santa Sede presso gli organismi internazionali è, dunque, espressione di una diplomazia ispirata dalla carità e dalla verità, non dall’interesse o dalla forza, e per questo capace di profezia.

In forza dei peculiari valori che animano la Chiesa ed alla ricchezza del suo patrimonio magisteriale, vorrei porre la seguente domanda, con particolare riferimento alla teologia morale sociale:


In che modo i principi della dottrina sociale della Chiesa – in particolare la centralità della dignità umana e la neutralità morale della Santa Sede – conferiscono all’azione pastorale e diplomatica della Chiesa una specifica forza etica e un valore aggiunto nell’opera di mediazione e promozione della pace, rispetto alle logiche tradizionali delle diplomazie statuali, spesso orientate alla tutela di interessi politici e strategici?

Alla domanda di Emanuele risponde Simone Morandini. Laureato in fisica, Simone ha conseguito il dottorato  in teologia ecumenica ed è attualmente vicedirettore dell’Istituto di Studi Ecumenici “San Bernardino” in Venezia, incorporato alla Pontificia Università Antonianum, presso il quale è anche docente di morale ed ecumenismo . Tra i diversi incarichi che ricopre, Simone è anche direttore della rivista Credere Oggi.
Pace

La risposta a questa domanda può felicemente prendere le mosse dalle prime parole di papa Leone XIV, immediatamente dopo la sua elezione: “La Pace sia con tutti voi. Fratelli, sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo Risorto, il buon pastore che ha dato la vita per il gregge di Dio. Anch’io vorrei che questo saluto di pace entrasse nel nostro cuore, alle vostre famiglie, a tutte le persone, ovunque siano, a tutti i popoli, a tutta la terra. La pace sia con voi. Questa è la pace di Cristo risorto. Una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio. Dio che ci ama tutti incondizionatamente”.

La pace mi sembra infatti il vero senso dell’azione diplomatica della Santa Sede; una pace che – come ci insegna il magistero pontificio almeno dalla Pacem in Terris – non è solo mera assenza di guerra, ma che porta in sé tutta la ricchezza del biblico shalom, con la varietà di significati ad esso associati. Proprio tale realtà orienta certo, comunque, in primo luogo al superamento della guerra: non solo di una guerra, ma di ogni guerra, dell’istituzione stessa della guerra. Sicuramente è questa la direzione primaria che orienta l’azione della Santa Sede sugli scenari internazionali, che si declina quindi come promozione di una positiva convivenza della famiglia umana nella giustizia. Naturalmente tale plesso di istanze costringe anche ad una puntuale considerazione dei mutamenti negli scenari in cui tale convivenza si realizza; gli ultimi anni – e segnatamente il pontificato di Francesco – hanno ad esempio evidenziato come essa non possa realizzarsi in assenza di un’attenzione per la sostenibilità ambientale. È il trinomio “Giustizia, pace e salvaguardia del creato”, caro al pensiero sociale ecumenico; è il “tutto è connesso” che cadenza l’intera Enciclica Laudato Si’, per condensarsi nel lemma “ecologia integrale”.

Questo riferimento è davvero l’unico orizzonte che dà senso all’azione diplomatica della Santa Sede: essa non deve certo la propria efficacia alle “divisioni del papa” (per riprendere una vecchia battuta), ma alla nitidezza del proprio orientamento. Solo la sua capacità di essere e di mostrarsi super partes, di esprimere un’attenzione per la vita e la dignità umana, per i diritti umani e per il futuro stesso dell’umanità, le permette di avere audience in un gioco di rapporti in cui quasi sempre conta la forza espressa in una dimensione strategica e strumentale. Proprio solo perché disarmata, insomma, tale azione diplomatica può sperare di essere anche disarmante.

Multilateralismo

Non stupisce in tal senso che tale azione abbia storicamente mostrato una forte attenzione privilegiata per quelle istituzioni multilaterali, che favoriscono un’interazione costruttiva tra i soggetti nazionali (si pensi alle varie realtà legate alle Nazioni Unite ma anche all’Unione Europea). In tale attenzione è in qualche modo incorporata un’istanza che guarda alla famiglia umana nel suo insieme come l’unico vero soggetto in grado di costruire efficacemente pace e che in tale direzione cerca di muoversi. Solo così, infatti, è possibile costruire quella fiducia reciproca che costituisce la vera base per una costruzione di pace. Solo in un contesto multilaterale è possibile tenere assieme la valorizzazione delle specificità delle diverse realtà nazionali e quella tensione cosmopolita che sta al cuore di shalom. Solo così, ancora, è possibile promuovere l’umanità nelle sue diverse dimensioni, nella pluralità di contesti che essa abita; non è certo casuale, ad esempio la significativa sintonia colta da numerosi osservatori tra la già citata Laudato Si’ e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile assunti dalle Nazioni Unite.

Certo, tale attenzione non dimentica neppure di rivolgere un’istanza critica nei confronti dei gravi limiti di cui soffrono al presente le diversi istituzioni cui abbiamo appena accennato. Ben chiara, infatti, la percezione del fatto esse che risentono di inefficienze e di polarizzazioni nella loro azione, ma soprattutto dello squilibrio nelle relazioni internazionali che vi si riflette. Si pensi alle stesse Nazioni Unite, la cui configurazione attuale rispecchia la situazione creatasi al termine del secondo conflitto mondiale, ma che non corrisponde certo alla realtà attuale di un mondo multipolare. Non a caso papa Francesco ha invocato più volte l’esigenza di un nuovo multilateralismo, più rispettoso della pluralità dei soggetti presenti sulla scena internazionale.

Ma un’istanza di multilateralismo si manifesta anche su altri piani, come nella promozione di convergenze con altri soggetti religiosi (chiese cristiane, ma anche realtà differenti) per un’azione ed una pressione comuni in vista di obiettivi condivisi. È un dato evidente, ad esempio, in relazione al mutamento climatico: le annuali COP (Conferenze delle Parti) vedono spesso interventi convergenti della Santa Sede, del Consiglio Ecumenico delle Chiese e di altre realtà religiose a favore di un serio impegno comune degli stati (spesso peraltro assai recalcitranti) per la mitigazione del riscaldamento globale e per una presa in carico delle sue conseguenze.

Realismo e profezia

È solo tenendo conto di tale complessità che possiamo comprendere alcuni passaggi che possono talvolta suscitare stupore, alcune apparenti accondiscendenze a richieste che a prima vista possono apparire insostenibili (si pensi a Francesco che raggiunge Cuba, per incontrare all’aereoporto il patriarca Kyrill di Mosca, ed al messaggio sottoscritto in tale occasione, non certo tra i testi più felici). Non è tattica; è piuttosto una disponibilità a venire incontro agli interlocutori, nella speranza di costruire pace anche laddove altri spiragli non sembrano possibili. Non è rinuncia a quell’istanza profetica che sta al centro del Vangelo della pace, ma piuttosto quel realismo che sa cercare in ogni situazione ed in ogni contesto il bene possibile, praticando un attento discernimento circa i mezzi per perseguirlo.

Anche in questo l’azione della Santa Sede sugli scenari internazionali si mostra fedele interprete di una Dottrina Sociale della Chiesa che, nell’indicare sempre obiettivi di alto profilo, invita al contempo a valutare con cura quali passi siano possibili in contesti specifici per muovere verso di essi. Rigore e flessibilità non esprimono dunque istanze inconciliabili, ma piuttosto polarità di un agire comunque orientato alla pace.

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