Un potente gesto simbolico

Un commento alla nomina di suor Simona Brambilla a Prefetta del Dicastero per le vita consacrata

Donata Horak, laureata in giurisprudenza e in teologia, insegna diritto canonico  presso lo Studio Teologico Alberoni di Piacenza. È socia ordinaria del Coordinamento delle teologhe italiane e si occupa di questioni di genere, ecclesiologia, diritto e riforma delle chiese. È socia dell’associazione Verso Itaca APS con la quale collabora a progetti su giustizia riparativa, mediazione umanistica ed esecuzione penale nelle scuole secondarie di secondo grado.

La nomina di suor Simona Brambilla a Prefetta del Dicastero per la vita consacrata ha suscitato diverse reazioni. Tralasciando la questione – mai solo grammaticale – di chi si ostina a non declinare titoli e funzioni al femminile, notiamo innanzitutto che la precedente nomina di un Prefetto laico al Dicastero per la comunicazione non abbia suscitato altrettanto dibattito. La “prima volta” di una donna in tale posizione ha una forza simbolica che rende evidenti alcuni nodi irrisolti intorno al tema del potere e della sua origine.

Nella tradizione canonistica, già dal medioevo si è introdotta una separazione tra due poteri, di ordine e di giurisdizione: il primo, ovviamente, ha come origine il sacramento dell’ordine; il secondo, invece, un atto amministrativo dell’autorità, la “missio canonica”. Il codice attuale ha poi introdotto come criterio sistematico la dottrina dei “tria munera” (di insegnare, di governare e di santificare) come fondamento dell’abilitazione di ogni fedele a partecipare alla missione di Cristo. La coesistenza dei due modelli (il doppio potere e la triplice funzione) nel codice postconciliare ha portato ad alcune contraddizioni non ancora superate, che richiedono quindi accortezza nell’interpretazione delle norme.

La discussione sinodale sulla questione di genere nella Chiesa, ancora concentrata sul ruolo delle donne – stante la resistenza degli uomini e pensarsi come parzialità – sembra appoggiarsi ancora sulla teoria dei due poteri, tenendo separati, da un lato, il dibattito sull’accesso delle donne al ministero diaconale, che deve restare aperto; dall’altro lato, la questione del governo. L’Assemblea sinodale «invita a dare piena attuazione a tutte le opportunità già previste dal diritto vigente relativamente al ruolo delle donne, in particolare nei luoghi dove esse restano inattuate. Non ci sono ragioni che impediscano alle donne di assumere ruoli di guida nella Chiesa: non si potrà fermare quello che viene dallo Spirito Santo» (Documento finale XVI Assemblea del Sinodo dei vescovi, n. 60).

Le donne e gli uomini laici possono essere nominati in quegli uffici che comportano esercizio del potere di giurisdizione, sia ordinario (per esempio, l’ufficio di giudice), sia vicario (come è il caso degli incarichi in Curia romana, che hanno sempre indole vicaria, anche quando a ricoprirli sono vescovi o cardinali, perché la Curia ha il compito di coadiuvare il Pontefice nell’esercizio del suo proprio potere primaziale).

Allora come mai tanto stupore intorno alla nomina della Prefetta Brambilla?

Alcuni autori negano che una donna possa esercitare una potestà ordinaria vicaria, perché si fermano alla lettera del can 129, §1: «Sono abili alla potestà di governo, che propriamente è nella Chiesa per istituzione divina e viene denominata anche potestà di giurisdizione, coloro che sono insigniti dell’ordine sacro…». Se si spingessero a interpretare il successivo §2 («Nell’esercizio della medesima potestà, i fedeli laici possono cooperare a norma del diritto»), scoprirebbero che la sua formula originale dichiarava che le persone battezzate possono «prendere parte» all’esercizio del potere, espressione certamente più chiara dell’attuale «cooperare nell’esercizio», che tuttavia non esclude la titolarità del potere. Il can. 228 dichiara l’abilitazione delle persone battezzate ad essere assunte in uffici ecclesiastici; il can. 1421, §2 prevede che una persona battezzata possa essere titolare del potere giudiziario ed esercitare l’ufficio di giudice; tale possibilità ha incontrato resistenze, ma nel tempo la figura del giudice laico/a si è evoluta fino alla riforma del can. 1673, che al § 3 attualmente ammette la possibilità che nelle cause matrimoniali il giudice chierico possa trovarsi in minoranza. Potremmo proseguire con gli esempi, ma quel che ci preme qui dimostrare è che dall’interpretazione sistematica del codice emerge con chiarezza l’abilitazione fondamentale delle/dei fedeli ad assumere la potestas, in forza del munus regendi ricevuto nel battesimo.

La costituzione apostolica Praedicate Evangelium (2022), afferma che l’aggiornamento della Curia romana “deve prevedere il coinvolgimento di laiche e laici, anche in ruoli di governo e di responsabilità” e che “qualunque fedele può presiedere un Dicastero o un Organismo, attesa la peculiare competenza, potestà di governo e funzione di quest’ultimi” (cap. II, n. 5). Il numero di donne con incarichi nel governo della chiesa universale è un dato in costante crescita negli ultimi anni, senza esclusione di materia: per esempio, è recente la nomina di tre donne al Dicastero dei Vescovi. È di questi giorni l’annuncio della nomina a Governatrice dello Stato Città del Vaticano dell’attuale vice, suor Raffaella Petrini.

La Prefetta Brambilla ha assunto il suo incarico non soltanto in forza dell’atto amministrativo (missio canonica) che l’ha nominata, ma sulla base dell’abilitazione sacramentale che le deriva dal battesimo; le reazioni che negano o sminuiscono la portata della sua nomina confermano quanto questa sia simbolicamente potente e possa aiutare tutta la chiesa, ma in particolare le donne, a prendere consapevolezza della dignità e della responsabilità che deriva dall’incorporazione a Cristo nel battesimo.

Donata Horak

Docente di diritto canonico presso lo Studio Teologico Alberoni di Piacenza

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