E SE DIVENTASSIMO AMICI?

a cura di Roberto Massaro

Professore associato di Teologia morale presso la Facoltà Teologica Pugliese. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Sui sentieri di Amoris laetitia. Svolte, traguardi e prospettive, Cittadella editrice, Assisi 2022 (a cura di); Si può vivere senza eros? La dimensione erotica dell’agire cristiano, Messaggero editore, Padova 2021; L’etica della cura. Un terreno comune per un’etica pubblica condividsa, EdAcAlf-LUP, Roma 2016. Insieme a Giorgio Nacci e Gianpaolo Lacerenza è curatore della pagina Promundivita.it.

 

Alla domanda di Francesco Liso (studente al V anno di teologia presso la Facoltà Teologica Pugliese) sulla possibilità di coniugare teologia e gender theories, il prof. Giovanni Del Missier (docente presso l’Accademia Alfonsiana di Roma) ha risposto con un post dal titolo alquanto provocatorio: «L’ultimo nemico a essere sconfitto sarà il gender. Con acuta ironia, Del Missier ha invitato a rivedere uno stile ecclesiale e teologico che, a volte, assume tratti eccessivamente “difensivi”, cogliendo come una minaccia tutto ciò che – anche lontanamente – sembra minare la “solida” e “irreformabile” dottrina cattolica.

Nel caso in questione, conosciamo bene quanto il gender sia stato percepito all’interno della comunità cristiana come un nemico pericolosissimo, colpevole di voler distruggere la ricchezza della dualità maschile-femminile e di voler creare confusione e scompiglio soprattutto nei ragazzi e negli adolescenti che, crescendo, scoprono la propria identità sessuale.

Senza voler entrare nel merito di quanto affermato in modo chiaro da Del Missier, con il quale ci sentiamo di concordare perfettamente, in questo post vorremmo cercare di offrire tre piccoli approfondimenti a tre questioni che riteniamo cruciali nel dibattito teologico sul gender.

Una teologia «amica» delle altre scienze

Nel suo post Del Missier auspica che la chiesa – e, di conseguenza, anche la riflessione teologica – abbracci uno stile di «uscita di tipo culturale» che, invece di destabilizzare, possa arricchire la teologia con un metodo transdisciplinare.

Ci sembra, infatti, di poter affermare che la teologia oggi occupa un posto ambiguo nel panorama delle scienze. Se, da un lato, è chiaro che essa fa fatica a essere considerata una disciplina alla pari di altre – come la letteratura, la psicologia, la matematica, ecc. – dall’altro non manca chi, in qualche modo, la colloca al di sopra delle altre scienze, per nulla (o quasi) bisognosa di apprendere qualcosa da altri saperi.

Questa pretesa di autoreferenzialità è, probabilmente, una delle piaghe della teologia che non le permette di intraprendere un dialogo fruttuoso con quanti riflettono, da altri punti di vista, sulla categoria del gender. Ci è utile, qui, ricordare l’intuizione di un matematico austriaco, Kurt Gödel, il quale, nel teorema che da lui prende il nome, afferma che in aritmetica vi sono affermazioni che per essere considerate vere o false non possono servirsi di assiomi e regole deduttive della stessa aritmetica, ma devono ricorrere ad altre discipline. Ne deriva che la spiegazione di un particolare fenomeno non può essere rintracciata nello stesso sistema e necessita di riferimenti ad altri sistemi. Riportando quanto sostenuto da Gödel alla questione che stiamo esaminando, dovremmo, allora, affermare che, per comprendere l’identità sessuale non basta solo la teologia, né è sufficiente che questa si metta in ascolto di altre discipline. Una più seria e approfondita riflessione sul gender esige un approccio «transdisciplinare» in cui le diverse discipline che studiano l’annoso e complesso tema della sessualità umana non vengano messe una accanto alle altre, ma si compenetrino e si illuminino a vicenda. Pertanto, la teologia dovrebbe assumere un atteggiamento “kenotico”, per porsi allo stesso livello delle altre scienze e per contribuire alla ricerca portando con sé la profonda ricchezza dell’antropologia rivelata.

Una natura «amica» della cultura

Un secondo aspetto riguarda l’approccio al tema natura-cultura che Del Missier affronta in questi termini: «La differenza, infatti, è inscritta nella carne e risulta inaggirabile nella ricerca di senso del sé, ma si presenta sempre come un significante aperto e non come un significato già preconfezionato, ovvero richiede di essere investita di un senso propriamente umano, personale e relazionale, da interpretare singolarmente e comunitariamente. Tale sforzo ermeneutico coincide con la ricerca non scontata della progettualità creaturale che è inscritta nella nostra natura umana che, in ogni tempo, deve essere fatta oggetto di una rilettura culturale per essere significativa per la sua epoca».

Premesso che – come lo stesso Del Missier annota – anche la teoria gender porta con sé ideologizzazioni che chiudono al dialogo e che tendono a omologare e rendere indifferenti le differenze, siamo persuasi che gli studi sul gender possano costituire una nuova categoria euristica con cui comprendere meglio la sessualità umana nelle sue sempre più ampie sfaccettature, rinunciando a quella sterile e inutile contrapposizione natura-cultura che, talvolta, smorza e chiude ogni tipo di riflessione.

Il gender, secondo alcuni studiosi, infatti, rappresenta una categoria cluster che permette di affrontare quelle situazioni in cui è difficile affermare l’appartenenza alle categorie maschio-femmina o uomo-donna. Come accostarsi, infatti, alle cosiddette “differenze dello sviluppo sessuale”, quando gli stessi cromosomi presentano un cariotipo “altro” rispetto a 46XY o 46XX? Come spiegare, in alcune persone, l’esistenza di una profonda distonia tra il sesso fisico e il sesso psicologico nella “disforia di genere”? Come acutamente afferma Damiano Migliorini, «dal momento che le identità sessuali variano considerevolmente nelle società, ipotizziamo che la discrepanza che constatiamo tra sesso e genere sia dovuta a fattori sociali e culturali. La ricerca delle varie discipline è volta proprio a chiarire quali siano e come funzionino questi fattori»[1]. E la teologia, in questo, non è esclusa dall’offrire il suo prezioso contributo, senza arroccarsi in posizioni naturaliste o biologiste.

Una comunità cristiana «amica» di tutti

Del Missier conclude il suo post affermando che tanto bene può venire da una categoria come il gender, «provocatoria e portatrice di novità».

Gli studi sul genere, infatti, nelle tre fasi che il nostro autore ha chiaramente esplicitato nel suo articolo, hanno avuto il merito di far uscire dall’esclusione e dalla discriminazione quelle categorie di persone che, per secoli, hanno sofferto a causa di una rigida e per nulla accogliente interpretazione del maschile e del femminile.

Pensiamo al movimento femminista – grembo generatore degli studi di genere – e alle conquiste che hanno portato le donne a ricoprire ruoli un tempo impensabili. Pensiamo anche alla derubricazione dell’omosessualità dal novero delle malattie mentali (avvenuta prima nel 1973 ad opera dell’American Psychiatric Association e nel 1990 da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità).

Se, quindi, c’è una cosa che il gender ci insegna è proprio quella che papa Francesco più volte ripete nei suoi documenti. La realtà non è rigidamente bianca o nera. L’esistenza, infatti, contempla miriadi di sfumature di grigio, diverse possibilità per realizzare la propria identità e per realizzare il meglio possibile che ci avvicini a Dio. Questo vale anche per le diverse modalità attraverso le quali le persone del nostro tempo formano e plasmano la loro identità sessuale.

Forse non siamo ancora in grado di dire cosa produrrà il dialogo tra teologia e gender in termini di riflessioni antropologiche, etiche e sistematiche. Possiamo, però, auspicare che l’inizio di questa «amicizia» generi nella comunità cristiane modalità nuove di avvicinarsi alle donne, agli omosessuali, ai transgender e a tutte quelle categorie di persone che ancora oggi, purtroppo, la chiesa fa fatica a integrare!

 

 

[1] D. Migliorini, Gender, filosofie e teologie. La complessità, contro ogni ideologia, Mimesis, Milano-Udine 2017, 43.

Comments (2)

  • Roberto Carbottisays:

    Dicembre 20, 2022 at 2:31 pm

    Alla luce della riflessione proposta, credo risulti di fondamentale importanza lo “stile” con cui la comunità cristiana si approssima a questi fratelli e sorelle. È in essa, infatti, che la trama relazionale si intesse e si radica al mistero celebrato e vissuto insieme. Tuttavia, siamo anche consapevoli che l’accoglienza e la vicinanza non sono delle prerogative presenti sempre e comunque; da qui la necessità di una precisa formazione a riguardo. Quali possono essere, dunque, le linee prospettiche da tenere in considerazione per uno sviluppo della riflessione anche a partire dalle stesse realtà ecclesiali particolari? Quali “strumenti” adottare in uno scenario così ampio e variegato, con l’obiettivo di far sentire realmente questi fratelli e sorelle parte integrante della comunità?

    Grazie.

  • Valerio Gioia

    Valerio Gioiasays:

    Dicembre 22, 2022 at 4:48 pm

    Uno dei punti delicati richiamati dal prof. Roberto Massaro è senza dubbio il rapporto tra natura e cultura. Per quanto riguarda tale questione, D. Migliorini (nell’opera già citata dal prof. Massaro) afferma: «Natura e cultura sono due modi di guardare la stessa entità, non due entità interagenti: ciò non significa che non siano fattori differenziali ma a noi si danno sempre come inscindibili» (D. Migliorini, Gender, filosofie e teologie. La complessità contro ogni ideologia, Mimesis, Milano 2017, 187). Ciò significa – come già espresso in un recente commento – che non possiamo abbattere la cultura per esaltare semplicemente il dato naturale, poiché ogni cosa che esiste in natura a noi è data già culturizzata, cioè con dei significati che non sempre possono coincidere con il significante. Soprattutto quando parliamo della persona, il rischio di una visione strettamente naturalistica potrebbe portarci a considerare essa più come un oggetto immutabile che come persona. Tale rischio è un dato abbastanza assodato, dovremmo ritenerlo con molta serenità, e che dovrebbe farci vedere con meno paura e meno pregiudizi le teorie gender, cercando di trovare, piuttosto, un terreno comune su cui partire per pensare insieme la persona umana.
    Tale terreno comune, capace di portare a una riflessione ecclesiale «amica», può essere intravisto in quanto afferma il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa: «L’uomo esiste come essere unico e irripetibile, esiste come un “io”, capace di autocomprendersi, di autopossedersi, di autodeterminarsi. (…) La persona umana va sempre compresa nella sua irripetibile ed ineliminabile singolarità» (CDSC, 131).
    Occorrerebbe, però, fare una precisazione sull’ «autodeterminarsi», poiché tale termine può dar luogo a un equivoco: pensare che l’uomo stabilisca da sé, in maniera del tutto arbitraria, a quale genere appartenere. Non è questa l’autodeterminazione di cui si parla, e non è questa l’idea che c’è dietro al gender. È un profondo errore pensare che una persona – come spesso si sente dire per combattere l’ideologia – scelga di essere uomo o donna in base a come si alza la mattina. Anzi, l’autodeterminazione parte proprio da un processo di consapevolizzazione del proprio vissuto, in questo caso sessuale (che non è riferito solo agli atti sessuali, ma al sentire sessuato), in cui lo sforzo più grande è spesso quello di accogliersi come persone che forse non sentono pienamente di rientrare nelle categorie di uomo e donna (cluster).
    L’identità di genere infatti si acquisisce in un processo lungo, difficile, doloroso, non sempre lineare, bensì storico, dinamico e culturalmente condizionato; non è mai banale, né scontato (Cfr. D. Migliorini, Gender, filosofie e teologie, 221). Si tratta di saper accogliere nella nostra visione di essere umano, a partire dall’accoglienza relazionale e pastorale, i vissuti difficili, senza giudizio e soprattutto convertendo il nostro modo di pensare, ricordando che la realtà è più importante dell’idea. Afferma papa Francesco nella Evangelii gaudium: «La realtà è superiore all’idea. Questo implica di evitare diverse forme di occultamento della realtà: i purismi angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi dichiarazionisti, i progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza» (EG, 231).
    La sfida, quindi, è quella di saper armonizzare un pensare l’uomo a partire proprio da una caratteristica ineludibile della realtà: la complessità, lo spazio in cui ogni persona umana esprime la sua singolarità e diversità.
    Potrebbe sembrare che cercare un dialogo proficuo e amichevole che le gender theories possa in qualche modo oscurare il progetto divino originario sulla sessualità umana che, come cristiani, crediamo come dato rivelato: esso è del tutto disatteso o irrilevante? In realtà potrebbe non esserlo, perché sempre e comunque la sessualità umana è quella forza propulsiva che ha come finalità l’esercizio dell’amore, nelle sue varie forme (agàpe, philìa, èros); essa rimane sempre e comunque quella dimensione, unica e irripetibile – nella singolarità di ogni persona – che la rende capaci di essere imago dei. Potrebbe quindi non trattarsi di mettere in discussione un dettato biblico – «maschio e femmina li creò» (Gen 1,27), o dettato di natura – il dimorfismo sessuale – (non è questo il momento opportuno per analizzare con più attenzione questi due dati) ma potrebbe trattarsi di comprendere che esso non sia solo da intendere come progetto originario unico e uguale per tutti, ma anche un dono originante, unico e singolare, come unici e singolari sono i vissuti che costituiscono la persona.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Pagina che raccoglie i materiali, le informazioni e le riflessioni inerenti ai corsi e ai seminari del prof. Giorgio Nacci, del prof. Roberto Massaro e del prof. Gianpaolo Lacerenza. Per info contattare: info@promundivita.it

Press ESC to close