Parola e vita: un equilibrio dinamico nell’agire morale

Giorgio Nacci, presbitero dell’Arcidiocesi di Brindisi-Ostuni, ha conseguito la laurea magistrale in scienze pedagogiche presso l’Università del Salento e il dottorato in teologia morale presso l’Accademia Alfonsiana di Roma. È docente incaricato di teologia morale fondamentale e di metodologia teologica presso l’Istituto Teologico Regina Apuliae della Facoltà Teologica Pugliese. Con Edacalf-LUP ha pubblicato il volume Formare presbiteri accompagnatori nel discernimento morale. Criteri per un progetto pedagogico. Con Roberto Massaro e Gianpaolo Lacerenza cura il blog di promundivita.it

 In che modo la Bibbia possa costituire un orientamento nel determinare i criteri e le scelte dell’agire morale è il fulcro attorno al quale lo studente Tommaso Fucci ha articolato la sua domanda. Il ricco contributo del prof. Andrzej S. Wodka ha fornito preziosi elementi per comprendere il fecondo rapporto tra Scrittura e vita morale (comprese le norme che la orientano). Primo fra tutti un corretto approccio ermeneutico al testo sacro, l’unico in grado di mostrare la forza attualizzante del messaggio biblico. Criterio ermeneutico che il prof. Sebastiano Pinto ha ben enucleato nel suo contributo, ricordando che la morale biblica «supera di molto la portata di un codice di comportamenti da adottare o da evitare», perché «si iscrive in un orizzonte propriamente spirituale, ove l’accoglienza del dono gratuito di Dio precede e orienta la risposta dell’uomo». Risposta che deve necessariamente confrontarsi con la storia dell’uomo, incarnandosi in essa.

Parola e criteri dell’agire morale: un equilibrio dinamico

Per contribuire alla ricerca di Tommaso nel trovare tracce di risposta alla sua domanda, ritengo utile soffermarmi su un passaggio del contributo di Wodka:

Gli “equilibri” fra la Parola che è Vita incontenibile e un “sistema morale” che indica i valori del Vangelo con il corrispondente agire – costruttivo e proprio dell’umanità nuova – saranno da ricercare sempre. È forse il tempo per accentuare meglio l’approccio sempre più “induttivo”, se la rivelazione di Cristo presente nell’umanità deve essere ascoltata – nella storia – innanzitutto a partire dal grido delle piaghe umane da lui assunte come proprie.

Se – come è già stato detto dai colleghi biblisti – l’idea di trovare nella Scrittura un codice di comportamento valido per tutte le situazioni concrete dell’agire morale è non solo riduttiva ma altamente fuorviante, resta da approfondire in che modo è possibile cercare in modo sempre nuovo l’equilibrio tra Parola e agire concreto. Con quali criteri è possibile garantire un dinamismo che non tradisca il messaggio morale della Bibbia?

Vorrei rispondere a questa domanda facendo eco ad una meditazione tenuta dall’attuale priore di Bose, Sabino Chialà, su Mt 1,18-19, nel contesto di una riunione del Comitato nazionale per il cammino sinodale in Italia. La narrazione dell’agire di Giuseppe diviene per noi paradigmatica: per cercare in modo corretto il continuo equilibrio dinamico tra messaggio biblico e agire morale è necessario essere uomini e donne “giusti” come lui (cf. Mt 1,19). Chialà evidenzia in cosa consiste questa giustizia: Giuseppe, mentre discerne il da farsi, si confronta primariamente con la Torah ma, per osservare quanto prescrive, non si ferma ad essa. La giustizia di Giuseppe è l’esito di un incontro tra la Torah e la persona che ha davanti a sé, per il cui bene la Torah è stata scritta. Egli “non chiude un occhio” per fare una deroga alla Legge, ma “li apre tutti e due” per guardare il fine della Legge (il bene) nella vita di Maria.

Il giusto è allora colui che scende nella sua coscienza e la estroverte, ascolta la Scrittura e, allo stesso tempo, il bene dell’essere umano. Il discernimento continuo dell’equilibrio tra il messaggio biblico e la sua attuazione nella vita morale si forgia nel lavorìo interiore di una coscienza credente che impara a tenere insieme Scrittura e bene concreto dell’uomo. Tenendo legate in una relazione di reciprocità ermeneutica la Scrittura e le esigenze concrete dell’umanità, si riesce ad evitare ogni estremismo (fondamentalismo-mondanizzazione), ma anche a comprendere meglio quale bene Dio indica per l’uomo di oggi, in risposta alle sfide sempre nuove lanciate alla riflessione etica. La Parola, dunque, non va superata ma “scavata” perché emerga il principio di bene concretamente realizzabile per l’uomo e la donna di oggi.

Potremmo concludere, dunque, che un equilibrio dinamico è possibile solo attraverso un processo di discernimento (al contempo spirituale e morale) grazie al quale è possibile limitare al massimo i rischi, intravisti dal nostro studente, nel modo con cui l’uomo contemporaneo spesso si rapporta al messaggio morale biblico: una sfiducia (o intolleranza e chiusura) verso l’insegnamento morale della Chiesa o una spiccata autoreferenzialità basata sul “mi piace/non mi piace”.

Sembra evidente, peraltro, come questo rapporto tra Scrittura e agire morale affranchi l’etica da qualsiasi prerogativa esclusivamente normativa o imperativo-giuridica, per esplicitarne, al contrario, il suo costituirsi nella prospettiva di una grazia preveniente di Dio che, in ogni contesto, mediante l’ascolto della Parola, rivolge un appello di salvezza.

Verità morale come verità salvifica

La prospettiva fin qui esposta consente di ricordare una peculiarità delle norme bibliche troppo spesso dimenticata. La loro efficacia, più che da un’osservanza letterale, si misura da quanto esse sono capaci di far scaturire nella persona la vita nuova in Cristo insieme a quella verità salvifica che ci fa conoscere Dio e l’uomo nella sua più alta dignità e vocazione. Mentre solitamente rischiamo di interrogare il testo sacro cercando in esso una risposta “sul da farsi”, siamo invitati a guardare piuttosto alla verità morale custodita nelle norme bibliche nella sua funzione pedagogica e terapeutica. Dovremmo innanzitutto chiederci se il messaggio morale biblico è narrato oggi come forza liberante, sanante e motivante per la vita di tante persone imbrigliate in contesti e circostanze che fanno perdere vita (cf. Mc 5,21-34). È questo – mi sembra – quello che Wodka vuole evidenziare quando afferma la necessità di strutturare la riflessione etica secondo un paradigma evangelizzatore, missionario. Prima colgo il disegno di bene (di salvezza) che il messaggio morale biblico rivolge alla mia vita, spesso segnata dal limite e dalle ferite, e poi valuto l’importanza e la necessità di agire secondo questi dettami. La prospettiva evangelizzatrice consente alla riflessione etica di indicare i comandamenti come mete, come «proposta di cammino» (Bibbia e morale, n. 4), avendo chiaro il percorso di conversione che la persona è chiamata a compiere. La vita morale – afferma il documento della Pontificia Commissione Biblica – «senza essere secondaria, è seconda», perché «ciò che è primo e fondante è l’iniziativa di Dio. […] Essa non è per prima cosa risposta dell’uomo, bensì svelamento del progetto di Dio e dono di Dio» (Bibbia e morale, 4). Pertanto, l’etica deve strutturare la sua riflessione teologica a partire da un modello evangelizzatore, come ha ben affermato Wodka nel suo contributo. Un contatto sempre più intrinseco tra riflessione etica e Scrittura permetterà di presentare il messaggio morale biblico (e i criteri sottesi alle norme), nella prospettiva di bene per la propria vita, in una gradualità di adesione tipica di chi cammina nella fede, tra rallentamenti, scatti in avanti e cadute.

Carità, principio cardine dell’agire morale

In questo senso si comprende come la carità è da considerarsi sempre il principio cardine dell’agire morale che scaturisce dalla Scrittura. È innanzitutto la carità sanante di Cristo che il credente sperimenta nella propria coscienza,  grazie alla frequentazione assidua dei testi sacri. Una morale strutturata sul paradigma dell’evangelizzazione è una morale che narra la verità a partire da questa concreta esperienza di amore, ben oltre le affermazioni astratte. Proprio questa concretezza della carità di Dio sperimentata nella propria vita diviene non solo forza motivante, ma criterio di autentico discernimento di “giustizia”, che sa cioè coniugare in maniera dinamica le esigenze della verità morale con il bene delle persone e dell’intera comunità umana. E così, le scelte morali saranno sempre più improntate ad una espropriazione dai propri egoismi, particolarismi ideologici, autoreferenzialità narcisistica. Non ci dovranno preoccupare le nuove sfide poste alla teologia morale: ci dovrà preoccupare che, in ciascuno di esse, noi siamo capaci di rendere chiara la volontà salvifica del Padre e l’impegno ad amare, segno di quella vita nuova in Cristo, l’unica capace di rinnovare il mondo.

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