
Sono passati 12 anni da quella piovosa serata di fine inverno in cui un uomo vestito di bianco, «venuto dalla fine del mondo», inaugurava un pontificato ricco di avvenimenti, sorprese, novità. Abbiamo chiesto ad Aristide Fumagalli una riflessione sul contributo di Papa Francesco alla riflessione teologico-morale per continuare con costanza ed entusiasmo quei processi avviati dal suo magistero.
Aristide Fumagalli, nato a Inzago (MI) è presbitero dell’Arcidiocesi di Milano dal 1991.
Compiuti gli studi istituzionali con il Baccalaureato presso il Seminario Arcivescovile di Venegono Inferiore (VA), ha proseguito gli studi sino al conseguimento della Licenza in teologia morale e il Dottorato in teologia presso la Pontificia Università Gregoriana (Roma). Attualmente è docente ordinario di Teologia morale presso la Sezione parallela della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale (Venegono Inf.), e docente
incaricato di Teologia morale presso la sede centrale della medesima Facoltà e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: L’amore sessuale. Fondamenti e criteri teologico-morali (2017); L’amore possibile. Persone omosessuali e morale cristiana (2020); Spirito e libertà. Fondamenti di teologia morale (2022).

L’insegnamento di papa Francesco per la teologia morale può essere meglio apprezzato se si considera come egli evidenzi che la teologia «non è soltanto la parola su Dio» pronunciata dagli uomini, «ma prima di tutto accoglienza di quella parola che Dio ci rivolge, parola che Dio pronuncia su se stesso» (Lumen fidei, 36). Prima di essere il discorso degli uomini su Dio, la teologia è il discorso di Dio agli uomini. Una teologia morale che non si lasciasse «toccare da Dio» e si riducesse a «uno sforzo della ragione per scrutare e conoscere», si configurerebbe come «una teologia da tavolino» (Evangelii gaudium, 33), «una morale fredda da scrivania» (Amoris laetitia, 312). Se si definisce il Vangelo come la «fonte di ogni verità salvifica e di ogni norma morale» (Concilio di Trento), allora quella di Francesco è più una teologia del Vangelo, che approfondisce il suo fondamento vitale, e meno una teologia dottrinale, che s’addentra nell’elaborazione concettuale.
La teologia di Francesco, caratterizzata in senso pastorale, potrebbe sembrare distante e poco attinente ai percorsi riflessivi della teologia morale contemporanea. In realtà, proprio auspicando il rinnovamento della teologia morale affinché illustrasse «l’altezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo», il concilio Vaticano II ha sollecitato «un contatto più vivo col mistero di Cristo e con la storia della salvezza» (Optatam totius, 16). Precisamente questo contatto vivo col mistero salvifico di Cristo che abita la storia umana è ciò che caratterizza la teologia di Francesco.
«Non mi stancherò di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva”»: l’insegnamento di papa Francesco è un deciso e accorato appello affinché la morale insegnata dalla Chiesa sia autenticamente ed effettivamente cristiana, consenta cioè a ogni uomo e a tutti gli uomini di attingere «alla fonte dell’amore sempre più grande di Dio che si è manifestato in Gesù Cristo» (EG, 7).
Il punto di vista di Francesco è quello di chi contempla l’Amore incondizionato con gli occhi dei miseri, ai quali Dio si rivela come Misericordia. Gesù è infatti «il volto della misericordia del Padre», colui che «con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la misericordia di Dio» (Misericordiae vultus, 1). La prospettiva di Francesco, più che quella di una teologia dall’alto, che contempla Dio in quanto si dona, è quella di una teologia dal basso, che incontra Dio in quanto raggiunge l’uomo nella sua miseria.
La misericordia divina, in quanto «immeritata, incondizionata e gratuita» (AL, 297), sorprende e attrae. La sorprendente esperienza della misericordia divina, ovvero di un amore che non si arresta davanti alla miseria umana, ma sovrabbonda nel donarsi gratuitamente, invita alla gioia. Su questa gioia cade l’accento del magistero di Francesco. Il gioire dell’amore misericordioso di Dio è l’esperienza prima e primaria della morale cristiana, la quale non è «un’etica stoica», «una mera filosofia pratica» o «un catalogo di peccati ed errori», ed è anche più che «un’ascesi». La morale cristiana è una morale della gioia.
La gioia suscitata dall’amore misericordioso di Dio «invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e ci salva». La morale cristiana annunciata come «risposta d’amore» all’amore misericordioso di Dio è la verità che, se non fosse al centro dell’insegnamento morale della Chiesa, ridurrebbe la consistenza di quest’ultimo a quella di un «castello di carte» e priverebbe il Vangelo della sua «freschezza» e del suo «profumo» (EG 39).
La risposta d’amore all’amore di Dio, donato ai credenti in Cristo per mezzo dello Spirito Santo, non è un «sì» improvviso e istantaneo. Francesco concepisce la vita nello Spirito alla stregua di un cammino che, pur senza soluzione di continuità, comporta diversi gradi nella pratica dell’amore misericordioso. Il cammino dell’amore cristiano si colloca nella tensione escatologica che connota la storia della salvezza, tra il già e il non ancora dell’avvento del Regno. La realizzazione terrena del vero amore dell’amore non è pertanto quella di una perfezione, di una purezza e di una coerenza proprie solo del Paradiso, ma quella di un «cammino storico» che, tenendo viva «la tensione verso qualcosa che va oltre noi stessi e i nostri limiti», esige «un graduale sviluppo della propria capacità di amare» (AL, 325).
Il cammino graduale nell’amore di Cristo non può essere adeguatamente accompagnato dalla Chiesa mediante una «normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi», ma richiede il «responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari» (AL, 300). Il discernimento dei casi particolari, evitando di credere che «tutto sia bianco o nero», aiuta a «trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti» (AL, 305). Il discernimento morale sfugge alla logica binaria dell’«assolutamente sì o assolutamente no», corrispondendo piuttosto alla logica del magis, del «di più», la quale comporta di scegliere il meglio possibile. Centrata essenzialmente sull’amore cristiano, la più adeguata ed efficace comunicazione del messaggio morale del Vangelo si caratterizza per un «linguaggio positivo», non tanto mirato su ciò che «non si deve fare» quanto piuttosto su ciò che «possiamo fare meglio», e che anche qualora indichi un divieto che trattiene dal male, mostri insieme il valore positivo che attrae al bene (EG,159).
L’originale magistero teologico-morale di papa Francesco può suscitare l’interrogativo circa la sua continuità o discontinuità rispetto alla tradizione magisteriale precedente, in particolare di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ciò vale soprattutto per il suo insegnamento morale, specialmente in ambito matrimoniale e familiare, notoriamente uno più delicati e discussi dentro e fuori la Chiesa. L’ermeneutica del magistero morale di Francesco non sembra cogliere nel segno né nel caso in cui rinvenga, rispetto alla precedente tradizione magisteriale, una continuità senza innovazione, né nel caso in cui vi rinvenga una novità discontinua. Il pensiero teologico che traspare dal magistero morale di Francesco può essere meglio paragonato a un tornante di montagna che, pur continuando la strada precedente, rappresenta un punto di svolta e guadagna una nuova prospettiva panoramica. Facendo tesoro di tutto il precedente corso della Tradizione, l’insegnamento morale di Francesco prolunga il cammino graduale della Chiesa in corrispondenza alla promessa di Cristo di attirarla all’altezza del suo amore (cf. Gv 12,32).
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