LA DOMANDA
a cura di Tommaso Fucci. Originario di Margherita di Savoia, Tommaso è un giovane studente al terzo anno del ciclo istituzionale di teologia presso l’Istituto Teologico Regina Apuliae di Molfetta, Facoltà Teologia Pugliese.
Nella ricerca della propria felicità e pienezza di vita, l’uomo trova nella Scrittura la possibilità per fondare la propria relazione con Dio e con il prossimo, imparando così a distinguere ciò che è bene da ciò che è male. Proprio nella Scrittura, dunque, si può trovare un luogo di confronto e dialogo sulle questioni che toccano la vita morale.
Nella nostra società assistiamo ad una trasformazione rapida delle modalità con le quali i credenti definiscono i criteri da adottare per compiere le proprie scelte morali, un dinamismo che, in alcuni casi, non rientra nella logica e nell’agire dell’amore misericordioso di Dio (progressi scientifici e tecnici, comunicazioni sociali e innovazioni digitali, complessità dei vissuti personali e interpersonali).
Queste trasformazioni esercitano un evidente influsso sulla coscienza morale col rischio di sviluppare una cultura relativista, che scarta persone e ambienti che non ci interessano personalmente, con il desiderio di aprirsi alle novità ma non sempre approfondite a sufficienza nei fondamenti filosofici e teologici. Anche per un cristiano cattolico la cultura dell’apertura e della tolleranza ha un’altra faccia della medaglia: una sfiducia, addirittura un’intolleranza e chiusura di fronte ad alcuni aspetti dell’insegnamento morale della Chiesa se pur avvolte con basi evangeliche, perché spesso si utilizza la Bibbia a nostro piacimento, senza le opportune categorie ermeneutiche e prendendo solo ciò che riteniamo ci aggrada.
Come giungere ad un equilibrio tra ciò che ci dice la Sacra Scrittura e le nuove sfide che la teologia morale è chiamata ad affrontare oggi?
In che modo la Scrittura può essere fondamento nel determinare i criteri per le scelte morali, avendo come principio cardine la carità?
La teologia morale “magis nutrita” della Parola di Dio (OT, 16). Un cammino segnato da una stella polare: il dono di sé
Il primo contributo che risponde alla domanda di Tommaso è a cura del prof. Andrzej S. Wodka, C.SS.R.
Il prof. Wodka, della Congregazione del SS. Redentore, è docente ordinario di teologia morale biblica presso l’Accademia Alfonsiana in Roma. Nella sua ricerca si occupa di morale biblica giovannea, paolina e sapienziale. Dal 2013 al 2018 è stato preside dell’Accademia Alfonsiana per poi essere nominato Presidente dell’AVEPRO (Agenzia della Santa Sede per la Valutazione e la Promozione della Qualità dell’Università e Facoltà Ecclesiastiche) dal 2018 al 2023.
L’orizzonte semantico delle domande
La domanda presentata dallo studente Tommaso Fucci ha una duplice prospettiva. Nella prima, la questione è posizionata nello spazio epistemologico che si estende fra il vivo messaggio della Scrittura e le nuove sfide della teologia morale. È un “incontro”, spesso polarizzato, di voci che hanno un’origine diversa. La prima è una Parola antica, ma ispirata dallo Spirito che – narrando il passato – illumina e anticipa il futuro. L’altra voce – quella delle odierne sfide morali – rappresenta il grido dell’attualità umana ingrovigliata fra l’eredità del passato, le ansie del presente e le angosce del domani…
La seconda domanda, più personale e soggettiva, approfondisce la prima, focalizzando l’attenzione sulla Scrittura quale fondamento agapico per l’indicazione dei criteri con cui operare le scelte per il bene, orientate alla promessa di felicità del singolo essere umano e dell’intera famiglia umana.
Lo spazio dove risuonano le due domande, dunque, è nella mente di chi studia e coltiva la riflessione morale rispettando il cammino dell’umanità (soggettivo e comunitario), senza trascurare i suoi tormenti e le sue speranze.
Tale spazio, però, deve effettivamente allargarsi e abbracciare i destinatari di ogni discorso etico-morale, ovvero le coscienze personali di coloro che ascoltano la Parola, se ne nutrono con il desiderio di stabilirvi una dimora permanente («[…] se rimanete nella mia parola” – Gv 8,31) e operano delle scelte vitali che intendono rispecchiare sia la natura dell’uomo nuovo, ricreato in Cristo (homo agapicus), sia il cuore della Rivelazione che è la carità. Soltanto la carità «[…] si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta […] non avrà mai fine» (1Cor 13,6-8).
Orizzonte ermeneutico delle domande
Il desiderio di giungere ad un equilibrio tra il messaggio ispirato della Parola abitata dallo Spirito e le sfide – insieme esistenziali ed etiche – dell’uomo odierno, deve aprirsi ancora ad ulteriori contestualizzazioni previe.
La prima riguarda proprio l’universo della Bibbia stessa. Essa regge su principi di ragionevolezza e di coerenza comunicativa diversi dalle discipline discorsive che oggi chiamiamo “scientifiche”.
Condiscendenza
La Scrittura infatti poggia su un principio dialogale che si chiama “condiscendenza” (attemperatioin latino, synkatábasis in greco, cf. DV, 13). Il divino Autore entra nel mondo espressivo umano marcato da tutte le sue limitazioni, imprecisioni e addirittura oscurità, adattandosi al livello ricettivo del suo partner umano.
La Pienezza divina deve esprimersi tramite la limitatezza umana, l’eternità si inserisce nella transitorietà, la felicità deve rivestirsi di vulnerabilità e di dolore, la vita stessa deve conoscere il dramma di dissolversi e di morire. Tale condiscendenza è l’unica strada che l’Eterno possiede per entrare in contatto soteriologico con l’umanità smarrita e rivelarsi come Amore.
La Scrittura, inoltre, pur presentandosi come un unico volume, in realtà è una “biblioteca” di 73 libri. L’orizzonte temporale abbraccia tante vite e generazioni, epoche e imperi. Questa “antologia” speciale dei testi, scritti in tre lingue, richiede un’apertura che porta ad una progressiva conoscenza, verso i livelli di senso e di significato lontani dalla cultura dell’odierna comunicazione. In altre parole, la Bibbia è un libro che nel suo divenire abbraccia almeno tre millenni, conserva delle sorprese al livello di modalità comunicative, invita a trattare con rispetto il mistero del suo messaggio, rivestito spesso di contenuti e di formule arcaiche.
La crescita della rivelazione nella storia
Un equilibrio interpretativo fra “il Messaggio” antico e “l’oggi” dell’uomo che cerca una chiara “formula etica” per vivere bene e saziare il cuore con la felicità sognata, è inoltre raggiungibile tramite l’atteggiamento prudenziale da assumere nella lettura del testo sacro. Quest’ultimo contiene la rivelazione, sì, ma nella sua forma storicamente “estesa”, cioè progressiva.
I valori (assiologia) e le virtù fattive corrispondenti (aretologia), cioè, si esplicitano nella storia in lunghi processi generativi e non sempre lineari. Tale processo non riguarda soltanto il passato, ma abbraccia anche l’oggi dell’umanità e ogni futuro del creato (cf. Rm 8,19-23).
La crescita della Parola nel lettore
Non si può nemmeno ignorare l’aspetto strettamente soggettivo-personale del lettore dei testi sacri, anche quando essi ricorrono a tale lettura per la ricerca teologica e non solamente spirituali: Scriptura crescit cum legente (s. Gregorio Magno). Le due crescite sono strettamente collegate: le “doglie del parto” riguardano anche il senso delle divine comunicazioni e si ambientano innanzitutto nel cuore dell’interlocutore umano della Parola.
Tale processo assume una dimensione comunitaria: il lettore della Scrittura non è mai un individuo solitario, ma si inserisce in un “Noi” creato dalla Pasqua del Signore. Dice infatti Gesù nel suo “discorso d’addio”: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà» (Gv 16,12-15).
Di fronte a tali dimensioni, il lettore potrà raggiungere “equilibrio” divino-umano nella sua vita morale nutrita dalla Parola soltanto rispettando il suo mistero: dietro le storie e affermazioni umane sta davvero il Divino Comunicatore che abbraccia il senso intero della storia umana, permeata dal suo amore concretamente soteriologico.
Il centro di un cosmo
L’incontro dinamico fra la Parola ispirata e il popolo di Dio che cammina verso gli orizzonti della sua aspirata felicità, è dunque aperto a 360° e avvolto dal mistero di Dio ineffabile che si “pronuncia” in Cristo e si “amplifica” nello Spirito, donato alla comunità dei credenti e si “propone” al mondo in coloro che formano un solo corpo e hanno un solo cuore (cf. Ef 4,4-6), irradiandosi dal centro della loro coscienza condivisa.
Un simile cammino potrebbe essere indicato da varie luci, stelle, galassie o asteroidi, in realtà anche distraendo o confondendo chi cammina. Ci vuole un’indicazione chiara, un punto fisso e univoco del “GPS della Parola” per continuare il cammino fra varie sorprese, difficoltà e sfide sempre nuove.
Una simile “stella polare” che orienta e possibilmente struttura il percorso, disteso fra i valori e gli atteggiamenti virtuosi, indicando i cardini non negoziabili, è stata indicata da Giannino Piana, recentemente scomparso (1939-2023). Secondo questo celebre studioso della morale, l’etica cristiana “si riassume in una frase di Gesù”. Sembra addirittura che si tratti qui uno degli ipsissima verba di Gesù…
Il testo in questione è rintracciabile in Mt 16,24-27 e in testi paralleli (Mc 8,35; Lc 9,24; Gv 12,25): «chi perde la propria vita la troverà, chi cerca la propria vita la perderà». G. Piana applica subito tale individuazione del centro morale del Vangelo alla vita del credente: “Il tendere al proprio autoperfezionamento morale è pur sempre un cercare la propria vita. Per Gesù la prospettiva non è la ricerca di sé, ma il dono di sé. Il dono di sé è l’opposto anche della ricerca di un perfezionamento morale altissimo”.
Il discorso continua: “[…] il cristianesimo non è un’ascesi o un’etica, ma è prima di tutto una fede e una mistica. E soltanto come conseguenza, in linea strumentale, può essere un’ascesi e un’etica. La morale e l’ascesi sono mezzo, non fine. Il fine è la mistica, la contemplazione, il rapporto con Dio, la comunione” (Orientamenti biblici e riflessione morale. Sintesi della relazione di Giannino Piana, Verbania Pallanza, 8 marzo 2008).
Se questo è il centro etico-morale della Rivelazione…
Sulla “cultura del dare” come l’orizzonte etico dell’umanità redenta, nel suo cammino verso la patria, situata nel cuore della Trinità, esiste ormai una vasta bibliografia e un consenso epistemico-spirituale vastamente condiviso. Se questo conferma i passaggi riconosciuti e tipici per la teologia morale fondata sulla Parola (Revelatio – Theoria – Praxis), conviene andare avanti nel senso ancor più radicare: a partire dalla rivelazione che sgorga dalle piaghe di Cristo, presenti nell’umano.
Una luce particolare a questo riguardo ci è stata donata nelle parole di papa Francesco, pronunciate di fronte alle persone disabili: “Qui è Gesù nascosto in questi ragazzi, in questi bambini, in queste persone. Sull’altare adoriamo la Carne di Gesù; in loro troviamo le piaghe di Gesù. Gesù nascosto nell’Eucaristia e Gesù nascosto in queste piaghe. Hanno bisogno di essere ascoltate!”.
L’ascolto di questa rivelazione nasce dalla Scrittura e – in particolare – dal suo centro pasquale del Venerdì santo. È lì che risplende la cultura del Dono che verrà confermata dall’effusione dello Spirito del Risorto nella pentecoste. Tale cultura, che è – per così dire – l’anima della Trinità, implica una reciprocità particolare: quella che intercorre fra il donare (donarsi) e il ricevere (riceversi). Da qui il triangolo “Dio-Io-Tu” nel quale si estende un Noi paradisiaco, già ricevuto nella pasqua di Cristo e crescente fino alla parusia e consumazione escatologica.
La vita morale come mistica della prossimità in un cammino condiviso
Gli “equilibri” fra la Parola che è Vita incontenibile e un “sistema morale” che indica i valori del Vangelo con il corrispondente agire – costruttivo e proprio dell’umanità nuova – saranno da ricercare sempre. È forse il tempo per accentuare meglio l’approccio sempre più “induttivo”, se la rivelazione di Cristo presente nell’umanità deve essere ascoltata – nella storia – innanzitutto a partire dal grido delle piaghe umane da lui assunte come proprie.
Ma è un approccio insieme “mistico”! L’attuale Pontefice l’ha voluto indicare nella capacità di avvicinarsi all’altro: “[…] quando viviamo la mistica di avvicinarci agli altri con l’intento di cercare il loro bene, allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più bei regali del Signore. Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio. Ogni volta che apriamo gli occhi per riconoscere l’altro, viene maggiormente illuminata la fede per riconoscere Dio. Come conseguenza di ciò, se vogliamo crescere nella vita spirituale, non possiamo rinunciare ad essere missionari” (EG, 272).
La storia continua dunque. I criteri agapici dell’agire morale andranno sempre riproposti con vesti concettuali nuove che emergeranno alla luce della Parola. Essa continuerà a rivelarsi nella Scrittura, “amplificandosi” nel vissuto concreto di ogni essere umano, specie quando marcato dal mistero fecondo del dolore.
(Teologia) morale che evangelizza?
Forse un aspetto attende una nuova esplicitazione se Evangelii gaudium n. 272 deve essere presa sul serio: la vita vera è spontaneamente un’evangelizzazione! La visione morale che nasce dal Vangelo, per esprimersi in una prassi rivitalizzante la società, continuamente oscurata dai “baalim” – le divinità false del guadagno esasperato e del profitto illimitato –, forse deve ancora pronunciarsi meglio come evangelizzazione?
L’evangelizzazione è segno e strumento di vita spirituale autentica. Tutti riconoscono che l’evangelizzazione è una conditio sine qua non dell’essere cristiani vivi. Evangelii gaudium n. 272 ha il coraggio di avvisarci addirittura di un “lento suicidio” se questa forma di vita credente venisse a mancare. Perciò è necessario pensare la teologia morale secondo un modello evangelizzatore.
Come esprimere i valori “nuovi” per i tempi violenti che l’umanità d’oggi attraversa con stupore di scoprirsi così impotente anche nelle istituzioni preposte alla pace e allo sviluppo? Una teologia morale del futuro, nata dalla Parola Incarnata – Cristo crocifisso e risorto, vivo in mezzo alla sua Comunità – che accoglie la Sua presenza nelle piaghe dell’umano, è invitata ad esprimersi come una morale evangelizzatrice. Centrali saranno qui i valori come la prossimità, la gratuità, la reciprocità… La vita morale distesa fra i dinamismi di avvicinamento – incontro – ascolto – riconoscimento – accoglienza – cammino – essere casa, sempre in riferimento all’“altro”, rivelerà sempre meglio la fede “come rapporto”, dilatando i cuori delle persone e nella grazia di crescere insieme nelle sorprese di Dio.
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