Liberi di discernere?

Roberto Carbotti, giovane grottagliese studente al III anno del ciclo istituzionale presso la Facoltà Teologica Pugliese (ITRA-Molfetta), con la sua domanda apre un nuovo percorso di riflessione sul nostro blog su un tema di teologia morale fondamentale. 

Oggi, uno dei principali nodi nella vita morale riguarda il ruolo della libertà nel processo di scelta. Sappiamo che da un lato il discernimento, con le sue dinamiche di gradualità e di itineranza, si realizza nella coscienza, la cui libertà non solo è segno della sua altissima dignità e segno dell’immagine divina, ma è fondamentale, perché l’uomo può rivolgersi al bene sono nella libertà (cf. Gaudium et spes, n. 17). Dall’altro lato, proprio nella coscienza si intrecciano il bagaglio delle esperienze storiche, le emozioni, il proprio modo di vivere l’affettività, la normatività del bene, con il rischio di rendere il discernimento un processo autoreferenziale, tutto centrato su di sé. 

Come articolare, dunque, l’appello alla libertà che sorge nel contesto spinoso e decisivo della scelta?

La risposta del prof. Sabatino Majorano

Sabatino Majorano C.Ss.R., presbitero redentorista, è docente emerito dell’Accademia Alfonsiana in Roma. Nei suoi 45 anni di insegnamento, la sua ricerca è stata guidata dalle intuizioni di Alfonso M. de Liguori e dalle istanze conciliari inerenti al rinnovamento della teologia morale, con l’obiettivo di superarne una riduzione casistico-normativa per aprirsi alla prospettiva della vocazione alla santità. Ha insegnato in diverse Facoltà teologiche ed Istituti teologici, è stato preside dell’Accademia Alfonsiana dal 2001 al 2007, consultore della Congregazione delle Cause dei santi e della Segreteria Generale del Sinodo. Nel suo lungo percorso accademico ha formato diverse generazioni di pastori e teologi morali. Tra i frutti più significativi della sua produzione teologica ricordiamo qui il volume La coscienza. Per una lettera cristiana (2008).

         Il riferimento al n. 17 della Gaudium et spes, che è stato opportunamente richiamato nella domanda, ci indica la prospettiva in cui cercare una possibile risposta. Precedentemente (n. 13), la Costituzione Pastorale ricorda che la nostra dignità di persona, espressione dell’essere creatura-immagine di Dio, ci è data attraverso la mediazione della storia in cui il potere del peccato ha seminato limiti, divisioni, contrapposizioni. Pertanto è un dono affidato alla nostra responsabilità per attuarsi effettivamente e in maniera sempre più piena.

         È questa la caratteristica anche della nostra libertà, come sottolinea Paolo nella lettera ai Galati: «Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù… Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri» (Gal 5,1 e 13).

        La libertà è un processo in divenire

        La libertà in noi si dà non come qualcosa di già acquisito, ma come un processo di liberazione, reso possibile dall’anticipo della possibilità di affrancarci dai tanti limiti che pesano sulla nostra persona e nella realtà intorno a noi. In altre parole: sono libero perché mi sto liberando. E questo non individualisticamente, ma nella solidarietà, cercando realizzare rapporti e strutture nuove in modo da creare le condizioni per tutti di essere effettivamente liberi.

        In questo cammino di liberazione, che rende reale la mia libertà, si procede passo dopo passo, secondo i ritmi e le possibilità di ognuno. Non si tratta di ignorare condizionamenti e limiti, ma di assumerli nella speranza, certi, nella fede, di poter contare sullo Spirito, che non solo condivide con noi i nostri limiti, perché non ne restiamo schiacciati, ma ci apre a quel dinamismo di liberazione per la libertà presente in tutta la realtà, grazie alla morte-risurrezione del Cristo. E tutto questo è una certezza che lo Spirito testimonia nella nostra coscienza in modo che nessuno potrà strapparcela . Il capitolo 8 della lettera ai Romani è un punto di riferimento da avere sempre presente.

         Discernere il bene possibile e non arrendersi ai condizionamenti

         Il discernimento concreto della coscienza tende a individuare il passo attualmente possibile di questo cammino. Non si tratta di arrendersi ai condizionamenti o ai limiti, ma di farsene carico per superarli. È la a logica dell’incarnazione, da cui non possiamo prescindere, vivendo la liberazione per la libertà attualmente possibile come premessa, proiezione e slancio verso ulteriori e più generosi passi. Non dovremmo mai perdere di vista che la dinamica del lievito (cf. Lc 13,20-21) e del chicco seminato (cf. Gv 12,24-25) contrassegna tutta la vita morale del credente. Riesce perciò a far sua la gioia del pellegrino: del pellegrino di speranza.

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