L’ethos cristiano: offerta di una nuova umanità

Avviamo un nuovo approfondimento su un tema di morale fondamentale. Al centro della nostra riflessione c’è il tema dell’ethos cristiano: è ancora possibile oggi parlare di ethos cristiano e in che termini?

Avviamoci in questa pista di approfondimento guidati dalla domanda di uno studente della Facoltà Teologica Pugliese e dalla sapiente penna di un docente del Pontificio Istituto di Teologia Morale Accademia Alfonsiana in Roma.

La domanda

Tommaso Fucci, classe 2001 e originario di Margherita di Savoia, è studente al 4 anno del primo ciclo di teologia presso l’Istituto Teologico Regina Apuliae – Facoltà Teologica Pugliese. 

L’evento-persona di Gesù di Nazareth costituisce la sorgente del modello dell’ethos cristiano, rivelando così la circolarità del rapporto tra cristologia e morale. La stretta correlazione tra esperienza di fede ed esperienza morale, così come è narrata nella Rivelazione, ha infatti nella persona di Gesù e nella sua vicenda storica la sua più alta espressione. La vita morale del credente trova in lui la sua sorgente e il suo modello, divenendo vita in Cristo resa trasparente e visibile nelle scelte quotidiane.

Nel momento storico in cui ci troviamo proporre un ethos cristiano è sempre più difficile. La complessità socioculturale e la perdita di fiducia nella Chiesa cattolica ha come conseguenza la non scelta di seguire Cristo e quindi l’allontanamento dall’ethos cristiano.

 

Come è possibile oggi riproporre la figura di Gesù di Nazareth come centrale nella vita dell’uomo e della donna di oggi? Come possiamo ripensare la proposta di un ethos cristiano avendo rispetto della laicità della persona e del momento storico che la Chiesa sta vivendo?

L'approfondimento

Antonio Gerardo Fidalgo CSsR è presbitero redentorista argentino, ha ottenuto la Licenza (1995) e il Dottorato (2004) in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana. Professore in passato di varie specialità teologiche in diversi Istituti e Facoltà dell’Argentina (Ecclesiologia; Pastorale Fondamentale; Missionologia; Ordine e Ministero; Unzione e Penitenza; Antropologia teologica; Pastorale della Riconciliazione).
All’interno della Congregazione è stato Formatore, Rettore, Parroco, Consigliere provinciale, Segretario provinciale. Nella Chiesa, tra altri gruppi, membro dell’ETAP (Gruppo dei teologi e teologhe assessori della presidenza della CLAR: Conferenza latinoamericana dei religiosi 2012-2014).
Attualmente è professore ordinario presso il Pontificio Istituto Accademia Alfonsiana di Roma e invitato presso l’Anselmianum/Marianum, sempre a Roma.

L’ethos cristiano, se è tale, dovrà essere riconfigurato in ogni epoca storica in ogni persona che vuole incarnarlo, perché è proprio la sua dinamica incarnatoria e salvifico-storica a richiederlo. D’altra parte, la figura di Gesù non deve essere “centrale” per niente e nessuno, perché non è il centro di niente e nessuno. Non è il centro della realtà trinitaria né della sua manifestazione nella storia, né della lontana Nazareth né del nostro presente storico. Se dobbiamo parlare di centralità, allora ciò che è centrale, in quanto estremamente importante, rilevante e intrinsecamente configurante in Gesù, è il suo progetto, che è lo stesso del Dio-Padre/Madre, cioè, «il regno di Dio», cioè, il suo progetto di «fraternità/sororità universale», il suo progetto di «nuova umanità». Perché solo nella vita comunionale c’è salvezza. Ed è questo che ci offre il Dio di Gesù: realizzare le nostre esistenze nella e dalla relazionalità comunionale, umana integrale ed ecosistemica. E poiché, perché ci sia storia della salvezza, occorre che ci sia salvezzanella storia, è necessaria la centralità dell’unico progetto di realizzazione e, in questo senso, di salvezza, che può dare alla nostra condizione umana il senso e la pienezza che l’attende. Cioè, la centralità di una «nuova umanità» configurata come spazio e realizzazione di una «fraternità/sororità universale» a tutti i livelli, personale, sociale, strutturale e sistemico.

Sarebbe il caso di ricordare che, per andare oltre il «pathos» ricevuto, sarebbe necessario un «ethos», che implica due significati diversi. Un significato indicherebbe «la dimora», il luogo in cui si vive, indicando in qualche modo il modo di essere, lo stile di vivere; un altro significato indicherebbe «una relazione con gli atteggiamenti con cui si realizza il primo significato». Dunque, qui assumiamo l’ethos cristiano come esistenza cristiana che implica atteggiamenti coerenti, un’etica in qualche modo. In questo contesto, qualsiasi etica – e a maggior ragione quella di ispirazione cristiana – mirerà non tanto a indicare ciò che si deve o non si deve fare attraverso azioni concrete, quanto piuttosto a offrire orientamenti convinti e convincenti, a indicare il percorso che porta alla meta, a partire da una vita in costante adeguamento alla sua ispirazione originaria. Un «pathos» non subìto ma arricchito e portato a dare il meglio attraverso un «ethos» liberatorio.

Le Chiese, in quanto configurazioni di credenti in Gesù Cristo, dovrebbero essere luoghi di rivelazione comunionale per eccellenza. Questo è, e non altro, essere «esperti in umanità». Siamo, come credenti, il corpo vivente di Gesù Cristo; siamo, in questo senso, esseri ecclesiali, comunionali (cf. il corpo e le membra di 1Cor 12). Lo siamo come un dono: dal battesimo siamo stati innestati in questa nuova corrente di «nuova umanità», templi della vita comunionale, fraterna/sororale/solidale. Lo siamo come compito, poiché assumiamo di essere stati chiamati alla vita per realizzarla come offerta di vita nuova, attraverso la novità di una libertà condivisa che solo sostiene e genera altre libertà altrettanto degne e creative. Tutto questo nel nostro percorso storico, dunque, sempre insipiente e in continua costruzione, mai definitivamente finito o completamente perfetto, ma perfettibile. Questa dovrebbe essere la grande testimonianza di ciò che siamo e stiamo diventando, tra di noi, come fratelli e sorelle e con tutti gli esseri umani di buona volontà che, in qualche modo e da diversi orizzonti di realizzazione, si uniscono a questa bella missione di vivere la vita nella, dalla e per la comunione.

I credenti, a partire da una fede radicata in questa visione di Gesù Cristo, devono relazionarsi con gli altri assumendo, assimilando e comunicando questo progetto di «nuova umanità». E questo deve essere trasmesso – in linea di principio indirettamente – a partire dalle opzioni fondamentali, nelle scelte semplici e quotidiane, dove i credenti riescono a unire le forze insieme agli altri per sperare e generare un altro mondo, un’altra storia, più umana, dignitosa e libera. Certo, si tratta di un lavoro faticoso che implica un discernimento costante, per vedere come, a ogni livello della nostra esistenza, si possa realizzare questo principio configurante.

In questo senso, l’ethos cristiano dovrebbe caratterizzarsi nel manifestare queste chiavi di ispirazione più profonde, in cui il trascendente non è altro che l’immanenza più profonda, la più semplice e la più quotidiana, che si realizza pienamente solo quando in modo più “incarnato”, si prende sul serio questa storia. L’identità umana dei credenti si declina e si decifra in e a partire da un inesauribile desiderio di fraternità/sororità che nasce dell’“umanità nuova” manifestatasi in Gesù di Nazareth, continuata e proseguita in quella «nuova umanità» del suo corpo vivente nella storia, costituito da tutte quelle persone che, in qualche modo, si decidono per realizzare un’umanizzazione senza violenza, senza esclusioni né abbandoni né scarti. Questo ci porta a realizzare un ethos che sapienzialmente e profeticamente manifesti che il nostro processo di umanizzazione non ci disumanizza quando si fanno scelte chiare e coraggiose a partire dagli ultimi, dalle vittime, dagli scartati e dagli emarginati della nostra storia, frutto di tutte quelle scelte sbagliate che tutti gli esseri umani sono capaci di fare quando perdono la loro più autentica umanità, ripiegandosi su loro stessi, rinunciando a orizzonti più grandi per miopi scelte autoreferenziali, egoistiche e individualistiche.

L’ethos cristiano, per definizione, non potrebbe mai essere una configurazione chiusa, monolitica e intransigente, né nei suoi principi né nelle sue conseguenze etiche. Quando ciò accade, si deve presumere che la sua manifestazione sia semplicemente inautentica e/o patologica. L’ethos cristiano è un’offerta di una «nuova umanità», aperta, plurale e olistica, non una nuova proposta dottrinale, culturale o cultuale che può essere racchiusa in codici e prassi selettivi ed elitari. È per tutti questi motivi che un autentico ethos cristiano si concretizza solo nella ricerca relazionale dell’interazione interculturale e interreligiosa. Per essere credibile e plausibile, l’ethos cristiano deve essere la ricerca costante di come dare un volto all’amore fraterno/sororale/solidale, un amore umile e audace, che riconosce i propri limiti e i propri errori e cerca, insieme ad altri ethos, di costruirsi a partire dall’apertura e dalla sincerità, e quindi di offrirsi come possibilità di vita nuova, senza imporsi ma proponendosi autenticamente come percorso di senso e di realizzazione. Un ethos tanto religioso quanto laico, perché profondamente umano come solo la presenza di Dio può far sì che sia.

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