
La domanda
Papa Francesco, nel suo messaggio in occasione dell’VIII giornata mondiale della pace, si rivolge “ai Capi di Stato e di Governo, ai Responsabili delle Organizzazioni internazionali, ai Leader delle diverse religioni, ad ogni persona di buona volontà” per offrire loro una riflessione e passi concreti di cambiamento per camminare sulla via della pace. Al paragrafo 14 del messaggio, il Papa sottolinea l’importanza del disarmo del cuore, descrivendolo come «un gesto che coinvolge tutti, dai primi agli ultimi, dai piccoli ai grandi, dai ricchi ai poveri. A volte, basta qualcosa di semplice come «un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito». Con questi piccoli-grandi gesti, ci avviciniamo alla meta della pace (…). Infatti, la pace non giunge solo con la fine della guerra, ma con l’inizio di un nuovo mondo, un mondo in cui ci scopriamo diversi, più uniti e più fratelli rispetto a quanto avremmo immaginato».
Le parole del pontefice sono sagge e piene di speranza, come quelle del nostro grande amico e teologo Bernard Häring, che ha dedicato tutta la sua vita al rinnovamento della teologia morale. Un rinnovamento che nasce e si sviluppa a partire da una storia segnata dalla tragedia della seconda guerra mondiale che ha suscitato in Häring la necessità di riflettere su come l’uomo abbia potuto obbedire in maniera stupida e incondizionata alla malvagità nazista. Nell’intervista di V. Salvoldi, Häring afferma: «[dopo la morte dell’amico gesuita, all’inizio della campagna in Russia] esplose in me una potente ribellione di tutto l’essere, poi ci fu solo l’amaro, perché? (…) Da quell’esperienza maturò in me la vocazione a impegnarmi per la questione della pace e della non violenza. (…) Se tutti coloro che si chiamano cristiani si mobilitassero per la non violenza, per l’amore conciliante che rende il nemico non più tale, con lo sguardo verso il Servo di Dio, tutta l’umanità ne avrebbe salvezza e guarigione».
Questi due grandi testimoni, indicano a ciascuno di noi, la strada per sviluppare una riflessione autentica sulla pace, una pace intesa non solo come assenza di guerra, ma come costruzione di un mondo nuovo fondato sulla non-violenza.
La domanda allora emerge in tutta la sua profondità: è possibile, oggi, accogliere l’invito di Bernard Häring per avviare percorsi che favoriscano una formazione non-violenta della coscienza morale?
Questo interrogativo ci invita a riscoprire e attualizzare l’eredità di un maestro che ha saputo coniugare la fedeltà al Vangelo con una visione inclusiva e dialogica della morale cristiana.
Christian Santoro, classe 2002, è originario di Villa Castelli, diocesi di Oria, ed è studente iscritto al 5° anno del ciclo istituzionale presso l’Istituto Teologico Regina Apuliae di Molfetta, Facoltà Teologica Pugliese. Anche in vista della ricerca avvitata per la tesi di baccellierato, Christian sta approfondendo la figura e la teologia di padre Häring, motivo per il quale ha posto la domanda per l’approfondimento di questo mese su promundivita.it.

La risposta....

FIlomena Sacco, ha conseguito il Dottorato in Teologia Morale presso l’Accademia Alfonsiana di Roma e la Laurea in Scienze Pedagogiche a Napoli. E’ docente di Teologia morale sistematica presso la Pontificia Accademia Alfonsiana e l’Università Pontificia Salesiana e di teologia morale speciale presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (Sez. S. Luigi). Tra le sue pubblicazioni più recenti segnaliamo la sua ultima opera: Tutto l’amore. La proposta morale di sant’Alfonso e il magistero di papa Francesco (2024). E’ autrice di diversi saggi e articoli su riviste specializzate.
La coscienza secondo Bernard Häring
Häring descrive la coscienza come facoltà morale dinamica e “responsabile”, luogo di discernimento, in cui l’uomo si confronta con la volontà di Dio e la sua chiamata alla sequela di Cristo, attraverso la libertà e la responsabilità; una facoltà essenziale della persona spirituale, un santuario intimo dove la persona si confronta con Dio e con il prossimo, con la voce di Dio che risuona nell’essere umano e la legge dell’amore inscritta nel cuore.
La coscienza morale è radicata nella somiglianza dell’uomo con Dio, riflette l’anelito profondo dell’uomo al bene e al sacro, un’aspirazione innata all’unità e all’apertura: «Nella nostra coscienza riecheggia la chiamata all’unità e alla totalità. Si tratta di un’aspirazione all’integrazione di tutte le potenzialità del nostro essere, la quale al contempo ci conduce all’Altro e agli altri. Nel nostro cuore è inscritta la realtà dell’Alleanza»[1]. Non è una facoltà statica, ma un processo dinamico di discernimento e crescita. Essa si forma attraverso l’esperienza, l’educazione, la riflessione e la continua scelta del bene.
Per Häring, la coscienza cristiana è profondamente radicata in Cristo. La grazia divina la illumina e rende capace di riconoscere la volontà di Dio; la vita in Cristo la alimenta e guida verso una maggiore libertà e fedeltà creativa. Essa svolge un ruolo centrale nella vita del cristiano, guidandolo nelle decisioni e nelle azioni; lo spinge a rispondere alla chiamata di Dio e a incarnare la legge divina nella vita quotidiana. Scrive in Liberi e fedeli in Cristo: «Possiamo dire di avere una coscienza specificamente cristiana se siamo profondamente radicati in Cristo, consapevoli della sua presenza e dei suoi doni, pronti a unirci a lui nel suo amore per tutti gli uomini. Tutto va saggiato in base a questo test: se ogni cosa possa essere offerta a Cristo come risposta appropriata al suo amore; ai suoi doni e ai bisogni del prossimo»[2].
La formazione della coscienza
La coscienza è chiamata a discernere il bene nelle situazioni concrete, applicando la legge dell’amore con prudenza e saggezza. Richiede un atteggiamento di responsabilità, di ricerca della verità e di apertura al dialogo. Secondo Häring, non è in tensione con la legge ma è in un rapporto di reciproco rimando. La coscienza non inventa il bene, lo discerne nella situazione concreta, riconoscendo la chiamata di Dio. Per fare questo, cerca luce e guida, e le trova nell’armonia della creazione, nell’insegnamento di Cristo e dello Spirito Santo, mediati anche dalla Chiesa.
Häring riconosce il ruolo dell’autorità – sia ecclesiale che civile – come guida per la coscienza individuale. L’autorità, in particolare la Chiesa, fornisce le coordinate per il discernimento morale, aiutando il singolo a non commettere errori di valutazione. Tuttavia, la coscienza individuale conserva il suo primato, soprattutto quando si trova di fronte a leggi o insegnamenti che ritiene non coerenti con i valori evangelici. In questi casi, il credente può appellarsi all’obiezione di coscienza, per rimanere fedele a Dio.
Häring sottolinea l’importanza di una coscienza ben formata, capace di discernere la volontà di Dio nella complessità delle situazioni concrete. Questo richiede un continuo esercizio di ricerca della verità, di ascolto e di dialogo. Il processo di formazione della coscienza coinvolge l’educazione, l’esempio di persone esemplari e la crescita nella fede. Ma non è un cammino individuale. La formazione della coscienza avviene anche attraverso l’esempio di persone coscienziose, che hanno testimoniato con la vita la loro adesione a Dio. La reciprocità tra le coscienze, il rispetto reciproco e la condivisione dell’esperienza spirituale sono elementi fondamentali per la crescita morale.
La coscienza morale, per Häring, è dunque un dono prezioso e una responsabilità fondamentale per il cristiano. Essa lo guida nel cammino verso la piena realizzazione della sua vocazione in Cristo, in un processo di continua crescita e di fedeltà creativa all’amore di Dio.
Per una coscienza non violenta
È vero che una delle sfide alla formazione della coscienza oggi è il tema della non violenza. Guerre e fatti di cronaca attestano che viviamo in un mondo incline alla violenza. Per spezzare la spirale autodistruttiva in cui la violenza fa scivolare, occorre formare una coscienza, forte, sanata, matura, pacifica. Alla luce della riflessione condotta fin qua è lecito chiedersi se Haring abbia una parola da dire e cosa significhi per lui formare una coscienza non violenta.
Il tema indubbiamente è presente nella riflessione di Haring. Non dimentichiamo che egli ha vissuto in prima persona l’orrore della Seconda Guerra Mondiale, ma è riuscito a non restare bloccato nella struttura di peccato: «L’assurdo moltiplicarsi di distruzioni e di morti da una parte e dall’altra, i contatti con i cristiani d’altre confessioni contribuiscono a farne un convinto operatore di pace, di incontro, di dialogo: sarà una costante del suo pensiero, non solo come rigetto di ogni violenza, ma anche come ripudio di tutte le logiche ispirate alla contrapposizione, per affermare il dialogo e la reciprocità delle coscienze come via verso la verità. Drammatica è anche la constatazione della caduta di responsabilità, personale e comunitaria, spesso mascherata dietro distorsioni dello stesso concetto di dovere: va radicato qui uno dei motivi della critica serrata alle impostazioni etiche centrate sulla legge e sull’obbligatorietà legale, che egli non si stancherà mai di portare avanti con calore»[3].
Si è lasciato provocare e a partire da questa esperienza ha maturato il suo pensiero. Egli parte dalla constatazione che la tradizione biblica attesta la forza terapeutica della non violenza e la necessità di una comprensione più profonda del messaggio di pace nel Vangelo[4].
Già nell’Antico Testamento si passa dalla “legge del taglione” a una limitazione della vendetta, prefigurando il superamento definitivo della violenza. Nuovo Testamento, la figura di Gesù Cristo e il suo messaggio d’amore costituiscono il cuore della rivelazione della non-violenza, incarnando la “potenza dell’amore riconciliante”.
Nel pensiero di Haring possiamo trovare elementi di una teologia (morale) della pace. Egli parte dalla centralità della promessa e della missione di pace nella rivelazione, suggerisce di riflettere sulla necessità di vivere in uno stato di non violenza e sottolinea il ruolo della Chiesa nella promozione della non violenza. Tutti temi quanto mai attuali. Infatti, la comprensione teologica della non violenzapuò essere applicata a conflitti contemporanei e la Chiesa ha la responsabilità di svolgere un ruolo più attivo nella promozione della pace.
Per formare la coscienza alla nonviolenza è necessario averne chiare le caratteristiche. La non-violenza non è passività o debolezza, ma una forza attiva e trasformativa, terapeutica perché capace di guarire le relazioni umane e sociali. Al centro della non-violenza c’è l’amore incondizionato, che si spinge fino al perdono dei nemici e alla riconciliazione con essi. La non-violenza non ignora il male, ma lo combatte con la forza della verità e della giustizia, senza ricorrere alla violenza fisica o verbale. La pratica della non-violenza richiede una profonda conversione interiore, un cambiamento radicale del modo di pensare e di agire. Non-violenza non si limita alla sfera individuale, ma ha implicazioni concrete nel modo di costruire una società più giusta e pacifica, il che rimanda all’impegno sociale e politico.
Häring offre una solida base per iniziare a riflettere sulla non-violenza e sul suo potenziale per costruire un mondo migliore.
[1] B. Häring, Liberi e fedeli in Cristo. Teologia morale per preti e per laici, Vol I, Edizioni Paoline, Milano 1987, 283.
[2] Ibid., 310.
[3] S. Majorano, Bernhard Häring: la teologia morale rinnovata dalla cristologia, in RTM 41 (2000), 519; cf. A. Wodka, La Parola di Dio nella teologia di Bernhard Häring, in StMor supplemento 4, 47 (2009), 41.
[4] Cf. B. Häring, La forza terapeutica della non-violenza. Per una teologia pratica della pace, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1987.
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