
La domanda del blog del mese di gennaio.
a cura di Samuele Pio de Vergiliis, Arcidiocesi di Taranto, e di Francesca Melillo, Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, studenti del III anno di teologia presso l’Istituto Teologico Regina Apuliae della Facoltà Teologica Pugliese.
La coscienza, insegna il Concilio, è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (GS, n. 16)
In quanto centro profondo della persona, in relazione con Dio e con gli altri, la coscienza è considerata come la sorgente ultima delle scelte umane, ciò da cui prende senso e consistenza l’attività dell’uomo.
Oggi il concetto di coscienza è oggetto di dibattiti e confronti scientifici che sfidano la teologia morale in relazione all’individuazione delle sue stesse basi, alla comprensione di che cos’è (solo il risultato di connessioni neuronali?), di come interagisce con i precessi decisionali, di cosa significa veramente libertà di coscienza. Come sfondo va considerata anche la sensazione che nella società oggi tutto sembra concesso e la coscienza sembra aver perso il suo ruolo morale.
In un’ottica interdisciplinare ci siamo posti delle domande: che ruolo può avere la teologia morale nel dibattito sulla coscienza in dialogo con le neuroscienze? Che differenza c’è tra coscienza psicologica e coscienza morale? Cosa hanno da dire le neuroscienze sulla coscienza di una persona in stato vegetativo?
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