
Iniziamo un nuovo approfondimento che ci accompagnerà nel mese di dicembre, restando in ascolto della Costituzione pastorale Gaudium et spes, essendo ormai imminente il suo 60° anniversario. L’intento dei contributi di questo mese sarà quello di rispondere alla domanda sollevata da Sr. Giulia Bertarelli, inerente a un altro tema centrale della costituzione, l’amore coniugale: la tradizione che il magistero custodisce tra le sfide per la riflessione morale contemporanea.

A sessant’anni dalla promulgazione di Gaudium et Spes, è ancora attuale la sfida posta alla Chiesa di saper leggere i “segni dei tempi” e rinnovare il linguaggio teologico in dialogo con l’esperienza umana concreta. Tra le istanze innovative recepite dal Concilio Vaticano II emerge la rilettura del matrimonio alla luce dell’amore coniugale, riconosciuto come realtà centrale e costitutiva della vocazione degli sposi.
In che modo la scelta di Gaudium et Spes 48 di porre l’amore coniugale al centro dell’istituto del matrimonio rappresenta una vera “rivoluzione” teologico-morale, e quali sfide pone alla riflessione morale contemporanea?
Questa settimana, alla domanda di suor Giulia, risponde il prof. Roberto Massaro.

È sempre stato così… o quasi…
Non è inusuale ascoltare, negli ambienti ecclesiali, affermazioni del tipo: «La Chiesa ha sempre insegnato così!» o «La dottrina è immutabile!». Frasi che risuonano perentoriamente soprattutto quando a essere messe in discussione sono alcune dichiarazioni del magistero su matrimonio, famiglia e sessualità.
Mentre ci accingiamo a celebrare il 60° anniversario della costituzione pastorale Gaudium et spes (7 dicembre 1965), dopo aver approfondito, sul nostro blog, quanto tale documento afferma, al n. 16, sulla coscienza morale, desideriamo rileggere, in questo mese, i nn. 47-52 – che costituiscono il capitolo I (Dignità del matrimonio e della famiglia e sua valorizzazione) della parte II (Alcuni problemi più urgenti).
Tre modelli di matrimonio e famiglia nella storia
Tuttavia, prima di entrare nel vivo della discussione – compito che lasciamo a quanti scriveranno nelle prossime settimane –, è nostra intenzione comprendere come si arriva a questi numeri: forse i padri conciliari si sono limitati solo a una sintesi della tradizione precedente? Hanno «continuato» a ripetere quanto il magistero «ha sempre insegnato», o hanno, piuttosto, creato una «rottura», un «cambio di paradigma»? Per cominciare a rispondere all’interessante e provocatoria domanda di suor Giulia, Gaudium et spes, rispetto al tema del matrimonio e della famiglia, rappresenta una vera e propria «rivoluzione»?
Pur potendo correre il rischio, in queste poche battute, di sembrare eccessivamente approssimativi o sintetici, ci sembra possibile riconoscere, nel corso della storia del cristianesimo, almeno tre modelli di famiglia, che possono essere messi in parallelo con altrettanti modelli individuati dalle scienze sociali. Il paradigma della famiglia medievale – diretto discendente dell’ideale romano – interpreta il matrimonio come un dispositivo di regolazione sociale, vincolando la generazione dei figli a tale istituzione giuridica, così da assicurarne la legittimazione e garantire la trasmissione ereditaria. Con il XVIII secolo, l’affermazione del modello borghese introduce una trasformazione significativa: l’amore coniugale inizia a essere riconosciuto come ragione primaria dell’unione – senza mai mettere in secondo piano il fine della procreazione –, mentre la famiglia si configura sempre più come ambito privato e spazio di protezione affettiva. Dal XX secolo si comincia, invece, ad assistere a un processo di progressiva de-istituzionalizzazione e diversificazione: da un lato diminuisce l’esigenza di formalizzare giuridicamente i legami, dall’altro emergono nuovi modi di vivere la relazione e la convivenza.
Dagli schemi preparatori a Gaudium et spes
Di fronte a queste trasformazioni sociali, nella fase immediatamente precedente all’assise conciliare, si assiste a una prima reazione di tono restaurativo e apologetico. Gli schemi preparatori – prima il De ordine morali christiano, col suo capitolo intitolato De castitate et pudicitia christiana, poi un documento a parte, il De castitate, virginitate, matrimonio, familia e, infine, nel 1963 lo schema De matrimonii sacramento – si soffermano soprattutto sull’origine e la natura della sessualità e del matrimonio, su alcune indicazioni pratiche e normative per l’educazione sessuale, contro i rischi di errori in tali ambiti.
Si ribadisce, innanzitutto, la validità permanente dell’impostazione classica sui fini del matrimonio, organizzati secondo un ordine gerarchico che assegna alla procreazione e all’educazione dei figli l’unico scopo primario dell’unione coniugale, indipendentemente dal fatto che la coppia possa effettivamente generare. L’essenza del matrimonio viene ricondotta al suo carattere contrattuale, e l’attenzione si concentra soprattutto sulle sue proprietà giuridiche fondamentali, ossia l’unità e l’indissolubilità, in una prospettiva essenzialmente canonistica. In questo contesto, i tentativi di valorizzare la dimensione personale, relazionale e spirituale del vincolo coniugale, anche al di fuori della finalità procreativa, vengono respinti; l’idea che l’amore costituisca un elemento essenziale del matrimonio è considerata un errore teologico. Si teme, inoltre, che un’eccessiva valorizzazione della dimensione sessuale, intesa come componente costitutiva dell’essere umano, possa relativizzare il valore attribuito alla continenza consacrata. L’obiettivo sembra chiaro: mantenere intatta la dottrina vigente, difendendola tanto dalle innovazioni teologiche e filosofiche quanto dagli sviluppi delle scienze umane e dei cambiamenti sociopolitici del tempo.
I padri conciliari scelgono non solo di non adottare come base di lavoro lo schema preparatorio, giudicato inadeguato e apologetico, ma decidono di non dedicare alcun documento al tema del matrimonio e della famiglia, senza tuttavia ignorarlo. L’argomento, infatti, viene “spalmato” in più testi (cf. LG, nn. 11, 35, 41; AA, n. 11; GE, n. 3), tra i quali, certamente, emergono i nn. 47-52 di Gaudium et spes.
Il matrimonio, al n. 48, viene definito come «intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie»; la procreazione e l’educazione della prole sono indicate come «coronamento» dell’amore coniugale; i coniugi «prestandosi un mutuo aiuto e servizio con l’intima unione delle persone e delle attività, esperimentano il senso della propria unità e sempre più pienamente la conseguono»; «l’intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l’indissolubile unità».
Ciò che sarebbe stato ritenuto inconcepibile in epoca medievale, come contrarre matrimonio sulla base del sentimento, viene recepito nel concilio Vaticano II con la definizione della famiglia come «intima comunione di vita e di amore coniugale» (GS, n. 48). Ciò che gli schemi preparatori definivano assurdo, ossia dare troppo valore alla dimensione sessuale dei coniugi, il concilio lo definisce «onesto e degno» (GS, n. 49).
È sempre stato così? Cambio? Continuità? Ai posteri – cioè ai prossimi articoli – l’ardua sentenza…

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