Il voto: una realtà in crisi?

Don Rocco D’Ambrosio, presbitero dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, è docente di Filosofia politica presso la Pontificia Università Gregoriana in Roma.
E’ presidente di Cercasi un Fine APS. Ha pubblicato diversi saggi su temi politici.  
www.rocda.it; www.cercasiunfine.it

Sappiamo bene che il voto, cioè l’affluenza alle urne, è una realtà in crisi. Abbiamo davanti un quadro di astensionismo crescente di più lungo periodo, che coinvolge anche le elezioni politiche: si va da punte di votanti del 90% degli anni ’70 a percentuali superiori di poco il 50% degli ultimi anni. Quindi il problema numero uno è la partecipazione alle elezioni. Perché molti non votano? Perché poco più di un italiano su due decide di assolvere a quello che è un diritto e anche un dovere, come afferma la Costituzione (art. 48)? Si dovrebbero realizzare – risorse permettendo – frequenti ricerche, con campioni molto alti, per scoprire le motivazioni del non voto. Personalmente individuo due cause maggiori (tra diverse altre): la scarsa formazione sociopolitica; la crisi di fiducia nella classe politica attuale; alcune considerazioni etiche.

La crisi della formazione

Viviamo in un Paese che non solo ha una larga fetta di non votanti, ma ha, prima di tutto, seri problemi di tipo culturale, scolastico e universitario. Cresce l’analfabetismo di ritorno; esiste una crisi di larghi settori della scuola e dell’università, abbiamo saperi ridotti, monotematici e poco interdisciplinari, effimeri, estremamente dipendenti dalla superficialità di diverse fonti on line. Non manca solo la formazione civica, sociale e politica, manca la formazione tout court! Lo dicono le statistiche scolastiche e universitarie, la debolezza o inesistenza di percorsi formativi nei partiti politici, nelle comunità di fede religiosa, nel volontariato, nell’associazionismo, nello sport e via discorrendo. Un esempio per tutti: gli stranieri che chiedono la cittadinanza italiana sono chiamati a conoscere la Costituzione. Una domanda: ma l’italiano medio conosce la Carta Costituzionale? È stato formato seriamente alla sua visione antropologica ed etica?

Questa è, dunque, la situazione in ampi strati di popolazione. E dove non c‘è formazione, o ce n’è poca e scadente, è molto facile essere influenzati dalle grida del momento, senza nessuna capacità critica di discernere, anche nelle scelte elettorali. Il segnale che, in diversi comuni, si sia scelto il candidato più competente, rispetto a quello meno, è importante ma non è ancora un cambio di rotta stabile. Per attuarlo dovremmo approfondire anche le forme di analfabetismo emotivo che riducono la capacità e creano una dipendenza da quei leader che gridano e colpiscono di più. Un riferimento appropriato è a ciò Hannah Arendt chiamava “estraneazione”, che portava le masse ad accogliere, invaghirsi e poi subire forme di dittatura (Le origini del totalitarismo). Bonhoeffer, a proposito, avrebbe detto sinteticamente che «la potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri» (Resistenza e Resa).

La perdita di fiducia

Riguardo ai non votanti per crisi di fiducia nell’attuale classe dirigente il discorso è molto più complesso. Sono convinto che siano, in generale, persone sufficientemente colte e sensibili politicamente. È interessante notare come in altri Paese questo tipo di persone più che non votare indirizza il proprio verso forze nuove e più convincenti: penso ai partiti di impronta ecologica in Germania e nei Paesi scandinavi. In Italia no. Anche qui c’è una componente che non va trascurata: l’individualismo di gruppo e di appartenenze omogenee. In soldoni: mi interessa solo la mia famiglia, il futuro dei miei figli, la mia professione e alcuni colleghi, alcune relazioni amicali… per il resto i politici “sono tutti uguali” e il mondo può anche cascare. Sono visioni molto miopi e sterili, che nascondono scompensi antropologici ed etici, nonostante il grado culturale e professionale di diversi. La carriera e il guadagno facile e immediato non si confrontano mai con la fatica delle relazioni, con la complessità del mondo, in tutte le sue componenti: sociale, politica, culturale, economica, istituzionale. Milani, proponendo la politica che si oppone all’avarizia, direbbe “[cara signora professoressa, ndr] con i vostri ragazzi fate meno. Non gli chiedete nulla. Li invitate soltanto a farsi strada” (Lettera a una professoressa). Chi è tutto concentrato a “farsi strada”, a guadagnare il più possibile, a emergere a ogni piè sospinto perde il contatto con la realtà, distrugge relazioni e ipoteca negativamente il proprio futuro. E, ovviamente, non va a votare o, qualche volta, ci va perché, per esempio nelle elezioni locali, ci sono coloro che lo aiutano a “farsi strada”.

Alcune considerazioni etiche

Pongo io una domanda: la fede cristiana ispira le scelte elettorali dei cattolici? “Una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi”, come scriveva Paolo VI nel 1971; mentre Maritain affermava “Si può essere cristiani e salvare l’anima militando in qualsiasi regime politico, a condizione, tuttavia, che questo non offenda la legge naturale e la legge di Dio” (ne ho parlato qui https://formiche.net/2020/09/cattolici-bisogno-partito/). Allora il problema si sposta da un presunto voto compatto o nuovo partito cattolico (di cui non abbiamo bisogno) al verificare se i cattolici sentono il voto come un dovere civile (Cost. art. 48) e cristiano (GS, 75). In generale – sono tutte mie personalissime opinioni – penso proprio di no. Catechesi, omelie, programmi pastorali spesso parlano, dal punto di vista morale, solo di famiglia, sesso, aborto, fine vita, staminali; molto raramente di giustizia, trasparenza e anticorruzione, legalità, pace, solidarietà, accoglienza dei migranti, politiche sociali, doveri fiscali, civili e politici e cosi via. Ciò si è verificato particolarmente negli ultimi trent’anni, ma questa prassi continua, nonostante la svolta missionaria di papa Francesco. Ed essa genera un tipo di cattolici per i quali l’adesione a Cristo coincide con la fedeltà ai soli principi di bioetica e morale sessuale, alla messa in latino e allo sfarzo e potere ecclesiali di medioevale memoria. Il Vangelo – non possiamo dimenticarlo – è per tutte le persone e per tutti gli ambienti: dalla famiglia alla politica, dalla persona alla pace, dall’economia al sociale, dal fine vita ai mass media ecc. Tutte le persone e tutti gli ambienti, nessuno escluso, sono destinatari della misericordia di Dio e della sua salvezza.

Il deficit formativo acuisce alcuni nodi problematici del rapporto cattolici e politica. In sintesi.

  • Nelle comunità crescono atteggiamenti estremisti. C’è chi detesta la politica come il regno del male in sé e chi la esalta come il prossimo paradiso: la politica è un’attività umana come tutte le altre, con vizi e virtù come la famiglia, la società, la scuola, i media, le varie istituzioni. Bisogna lavorare sodo per renderla più bella, giusta e sana.
  • L’attenzione più agli aspetti di “appartenenza” che “coerenza” dei candidati: non è una sigla che rende un candidato credente ma solo la sua maturità umana ed etica, con la sua competenza politica.
  • La politica è un luogo di condivisione non un strumento da usare machiavellicamente per ottenere privilegi e finanziamenti per strutture cattoliche.
  • La politica non deve essere clericale: essa appartiene ai laici credenti, che si assumono le loro responsabilità quando si impegnano; ai vescovi e ai preti va solo il compito di formare, mai di indicare chi e quando votare.

Ora non servono appelli elettorali, né richiami a principi generali con scarsa attenzione alla complessità odierna. Potrebbero servire alcuni incontri, in piccoli gruppi, per chiarirci le idee, anche se resta l’urgenza di itinerari seri e stabili di formazione cristiana per il mondo politico (con scuole di politica, catechesi, raduni, ecc.). La politica italiana si sana anche con il contributo dei cattolici, ma questi devono ricordare ciò che scriveva Mounier: “E’ solo con l’interiorità che si sfugge alla mediocrità; non con il lirismo o la stessa generosità”.

Comments (1)

  • paolo veronesesays:

    Aprile 17, 2024 at 4:33 pm

    Alcune considerazioni sul tuo articolo.
    La prima riguarda l’analfabetismo di ritorno e la conseguente scarsa cultura e formazione sociopolitica degli elettori. La domanda che si pone è del perché allora, nell’immediato dopoguerra, ci fosse un’alta affluenza alle urne. La popolazione italiana di quel tempo non era certo più acculturata di quella di oggi. Quindi mi chiedo se sia proprio questa la causa dell’astensionismo.
    Mi sembra poi che nell’articolo manchi una riflessione sul fatto che il baricentro politico, non solo in Italia, si stia spostando sempre più a destra con l’assenza di un partito o di un’area che rappresentino chiaramente ideali e valori di sinistra. Ciò porta molta gente che si sente di sinistra a non sentirsi rappresentata. Collegata a questa considerazione c’è secondo me un’offerta politica molto personale ed alquanto opportunista che ha in qualche modo creato dei contenitori di raccolta del voto privi d’identità politica. Questo embrassons-nous, rappresentato per esempio dal sovraffollamento opportunistico al centro del quadro politico, porta ad atteggiamenti di rifiuto della politica, tanto sono tutti uguali, che alimentano partiti estremi e/o populisti oppure astensionismo e rifiuto di andare a votare.

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